Il Cammino di San Giacomo

Partire è innanzitutto uscire da se stessi,
cancellare la corteccia dell’egoismo che tenta d’imprigionarci nel proprio “io”,
…è smettere di girare attorno a se stessi come fossimo il centro del mondo e della vita,
…non è solo divorare chilometri, attraversare i mari, bensì innanzitutto aprirsi agli altri, scoprirli, andar loro incontro.

Quando ho intrapreso il cammino verso San Giacomo pensavo di effettuare un tipo di vacanza diversa, ma già alla fine della prima tappa, e precisamente durante la benedizione in più lingue ( compresa quella basca ) da parte dell’abate dell’Abbazia di Roncisvalle, con lo sguardo rivolto verso la nostra meta, ossia a 800 km verso Est, ho capito che sarebbe stata un’avventura tutt’altro che banale, irripetibile sotto tutti i punti di vista.
Sia che la si faccia da pellegrino, sia da turista, sia da osservatore senza meri fini trascendentali, quella verso S. Giacomo è un’esperienza particolare che lascia il segno. Ci si chiede perché all’alba, con le pile illuminate, frotte di esseri avvolti in non ben delineati contorni partano assonnati attraversando dapprima la pittoresca Navarra con i suoi villaggi fortificati, i suoi filari di viti che ricordano in parte le colline artigiane. La stessa domanda la si può porre nelle selvagge foreste all’interno dei Monti de Oca (verso Burgos per intendersi) un tempo infestate da briganti e lupi selvaggi e soprattutto la domanda diventa logica nell’attraversare la Meseta arida ed assolata, con temperature altissime durante il giorno dove tu, pellegrino, affaticato , sudato, assetato ti barcameni cercando un’oasi immaginaria . Sei fuori dal mondo, eppure sei in Europa, ma potresti essere ovunque.
Non saprei dare una risposta, però una constatazione sì: lì ci ritornerò!
È un’esperienza unica, a contatto con la natura, con i suoi silenzi, con le sue bellezze, il suo essere per il solo gusto di essere e quello che mi spiace è di non saper comunicare in modo esaustivo la mia esperienza . Il “provare per credere” non basta.
Ma solo quello che posso comunicarvi . Si incontrano lungo il cammino persone di tutti i tipi, razze e religioni; a loro sei legato da un vincolo di solidarietà. Quando attraversi una strada è normale che il camionista di passaggio ti auguri “buon camino, peregrino”… e intanto passo dopo passo, giorno dopo giorno svolti l’angolo e un nuovo paesaggio si affaccia all’orizzonte. La cosa si ripete per 30 giorni, perché tanto dura l’intero percorso.
Al paesino di O Cebreiro posto a 1.350 m, iniziano gli ultimi 150 km, il minimo necessario per ottenere la Compostela ( attestato che conferma la partecipazione al pellegrinaggio) e la voglia di arrivare supera di gran lunga la stanchezza che si è accumulata in 650 km e, piedi e vesciche permettendo, vorresti accelerare bruciare le tappe, ma la marcia è ancora lunga.
Le regioni spagnole intanto si susseguono l’una dopo l’altra, ognuna con le proprie caratteristiche, le proprie dimensioni, la propria cultura. Dalla già citata Navarra si entra nella Rjoca per giungere alla Castiglia quindi al Leon al Bierzo. Qualcosa cambia quando un mattino ti trovi a camminare tra boschi di eucalipti, tipici della Galizia. Roncisvalle sembra lontanissima, quasi pare appartenere ad un’ altra esperienza, perché nel cammino ti rinnovi giorno per giorno.
Soltanto al mattino dell’ultimo giorno ti trovi sul Monte del Perdon e. se la giornata è limpida vedi in lontananza le torri campanarie della cattedrale della città svettare tra le case antiche ad indicarti che là è la tua meta.
La corsa per l’accaparramento dei posti nei rifugi ora è sostituita dalla voglia di giungere sulla piazza e di assistere alla messa di mezzogiorno per poi effettuare tutti quei riti di prammatica che sanno di pagano, che dalla tua poltrona di casa reputi assurdi ma lì ti paiono normali e ti appresti a eseguirli con naturalezza come naturali parevano al semplice pellegrino che nei secoli passai ti ha preceduto.
Santiago, città incantevole! Ma questa è un’altra storia.

Enzo Bologna