di Lia Ferrero
Autonomia e responsabilità
Un itinerario didattico sull’educazione alla cittadinanza non può essere concepito al di fuori delle attività di socializzazione che dovrebbero caratterizzare ogni percorso scolastico, a partire dalla scuola dell’infanzia e dai primi anni della scuola primaria, in contesti sia di gioco, sia di ideazione, di creazione, di riflessione. Con questa differenza: solo a partire dalla scuola primaria deve potersi realizzare quel processo di metacognizione che consiste sostanzialmente nel prendere in esame i comportamenti collettivi e di gruppo, nel momento in cui si manifestano in classe, per rilevarne le positività, le criticità e le possibilità di miglioramento.
Gli spunti che seguono potrebbero adattarsi a una seconda - terza, pur tenendo presente che solo l’insegnante può avere la piena consapevolezza dell’effettiva maturità degli alunni e può autorevolmente stabilire in quale periodo tale itinerario possa avere inizio e assumere significato.
Il gioco e la regola
Quando i bambini incominciano a praticare giochi di gruppo, non tardano a rendersi conto che necessitano di regole che essi stessi devono seguire, pena l’anarchia. Anzi, nel timore di infrazioni, attribuiscono alla regola una tale importanza da renderla intangibile e quasi sacrale.
Quando il gioco non guidato da un adulto non va per il suo verso, si invoca la regola.
Un gruppo di bambini di sette-otto anni gioca a nascondino nel giardino della scuola. Chi “sta sotto” non conta ad alta voce in modo che tutti lo possano sentire e dal venticinque passa al trenta; inoltre cerca di sbirciare il nascondiglio degli altri. Questi a loro volta si nascondono in luoghi dichiarati all’origine proibiti (cantine, sotterranei, luoghi esterni al giardino). Ci vuol poco a capire che bisogna mettere un po’ d’ordine, sedersi un istante e ragionare. Perché si tengano a mente le regole occorre metterle per iscritto. Tutti hanno un “comandamento” da far rispettare: il difficile sta nell’esporlo in modo comprensibile. Primo: “Chi sta sotto deve coprirsi gli occhi; se non lo fa, lo si benda”. Secondo: “Deve contare a voce alta fino a trenta, in modo che tutti lo sentano e non deve “saltare” i numeri. Terzo: “È permesso nascondersi solo nel giardino, dietro il tronco degli alberi o dietro le siepi, non nei sotterranei della scuola”…
Ora il regolamento va completato e vanno studiate le sanzioni per chi non lo rispetta. A questo punto la fantasia dei bambini è molto fertile. Sarà dunque il caso di controllare che tali sanzioni siano proporzionate alle infrazioni e non eccedano in severità.
L’insegnante, attraverso una breve serie di quesiti rivolti alla classe, può incominciare a far riflettere.
:: Secondo voi, nelle punizioni sono ammesse le botte? Se no, perché?
:: È permesso umiliare un compagno che sbaglia?
:: Che cosa vuol dire umiliare?
:: Quando tutto va storto, di solito vi rivolgete all’insegnante. Perché?
:: In quali casi è indispensabile invocare il suo aiuto?
:: Quando e in che modo potreste farne a meno e cavarvela da soli?
:: Fate qualche esempio.
Quando i bambini non sono controllati
È un classico: quando l’insegnante si assenta anche solo per pochi minuti, lasciando di norma un bidello a controllare la classe, o quando, sulla soglia dell’aula, è impegnato a parlare con un genitore o un collega, spesso succede il finimondo: chi esce dal banco, chi alza la voce, chi fa il buffone… Il “capoclasse” ufficiale o di turno, o ancora quello che sul momento si autoproclama tale malgrado le proteste dei compagni, corre alla lavagna e segna con il gesso i buoni (a destra) e i cattivi (a sinistra). Buoni, pochi: quelli che non aprono bocca e assumono una posizione statuaria; cattivi: quasi tutti. Quando qualcuno dei “cattivi” si alza per protestare per non aver neppure respirato, accanto al suo nome il capoclasse traccia freneticamente croci su croci come a voler significare che il reo è recidivo e non accenna ad alcun pentimento.
In genere, al suo rientro, l’insegnante non degna di uno sguardo la lavagna imbrattata, manda a posto il capoclasse aguzzino e, senza comminare sanzioni, riprende l’attività interrotta.
Oggi tuttavia è tempo di riflessione: la situazione anomala offre lo spunto.
:: Che cosa fanno e che cosa non fanno quelli che vengono definiti “cattivi” per essere considerati tali?
:: E i “buoni”?
:: Sono appropriati i termini “buoni” e “cattivi”? Cosa c’entrano la bontà e la cattiveria?
:: Possiamo trovare altri termini che si adattino meglio alla situazione?
:: Ha senso separare con una linea netta i “buoni” dai “cattivi”?
:: Per essere considerati “buoni” basta starsene muti e immobili a contemplare la scena?
:: È giusto che un solo alunno giudichi i compagni secondo il suo metro di giudizio?
:: D’ora in poi è possibile studiare altre soluzioni più efficaci per tutti?
:: Chi sa dare qualche suggerimento?
- Cambiare ogni volta capoclasse
- Obbedire al bidello come all’insegnante
- Lasciare che ognuno faccia quello che vuole
- Trovare ogni volta un’attività che interessi la classe: chi sa raccontare barzellette, chi conosce indovinelli…
- Proseguire l’attività che era stata iniziata (lettura di un racconto, prova di calcolo orale…)
- Tutti possono avanzare ordinatamente delle proposte e ognuno è chiamato a votare l’una o l’altra per alzata di mano. Vince la proposta che ha ottenuto più voti.
Il difficile percorso dell’autonomia e dell’autogoverno
Come si nota, i suggerimenti dei bambini volti a un obiettivo anche modesto, se adeguatamente orientati e guidati, si fanno a poco a poco più circostanziati e meno perentori. Si va facendo strada il concetto di “autonomia” (il sapersi dare delle regole al di fuori di quelle imposte) e di “autogoverno” (il sapersi gestire sulla base di queste).
A tale scopo può aver luogo una riflessione a seguito di una breve assenza dell’insegnante, ma tale riflessione si rende tanto più necessaria quando, in presenza dell’insegnante, si passa ad esempio dall’organizzazione frontale alla formazione di gruppi di lavoro sulla base di procedure già sperimentate. È importante in ogni caso che, ad ogni singolo “esperimento”, l’atteggiamento del docente sia fondamentalmente orientativo e non ipercritico e sanzionatorio.
:: C’è un solo modo di star buoni o dipende dalle situazioni e dalle attività che vengono svolte in classe?
:: Quando un lavoro è avviato, come comportarsi con chi lo interrompe anche solo per provocazione?
:: Quali possono essere i comportamenti che procurano un vero disturbo?
:: Quelli che possono essere tollerati?
:: Quelli addirittura da incoraggiare?
:: Il silenzio in classe è sempre indispensabile?
:: Quando una classe è impegnata in un’attività collettiva o di gruppo può aver senso il silenzio?
:: Rispetto allo scorso anno la classe ha fatto dei miglioramenti, a vostro parere?
:: Sapreste indicare quali?
:: Ci sono dei comportamenti che devono essere migliorati?
:: Quali sono?
:: Perché una classe eviti il disordine e l’indisciplina bastano pochi volenterosi o è necessario il contributo di tutti?
Una serie di riflessioni del tipo di quelle riportate, adeguatamente scandite nel tempo e idonee a risolvere problemi legati a situazioni concrete, contribuirà a promuovere nei bambini determinate consapevolezze in ordine al significato concreto di autonomia e di autogoverno.
:: Dopo tutte le esperienze fatte, cercate di spiegare con parole vostre il significato di “autonomia” e di “autogoverno”.
:: Quando potete dire di aver raggiunto un certo livello di autonomia e di autogoverno? Fate qualche esempio.
:: L’autonomia e l’autogoverno si realizzano in una classe quando gli alunni riescono a organizzarsi e ad agire senza il diretto intervento dell’insegnante. Siete d’accordo con questa definizione?
:: Una classe può dirsi autonoma quando pochi alunni ottengono la fiducia degli altri e di questa si avvalgono per imporre agli altri i loro punti di vista?
:: L’autonomia e l’autogoverno possono realizzarsi soprattutto quando tutta la classe è impegnata in qualche attività interessante e mirata a uno scopo. Siete d’accordo con questa affermazione?
E, in ultimo, qualche spunto di riflessione di carattere generale.
Il percorso per conseguire l’autonomia e l’autogoverno anche in situazioni apparentemente elementari è non privo di difficoltà e di ricadute e si realizza solo quando concorrono:
:: un atteggiamento propositivo, orientativo e non sanzionatorio da parte dell’insegnante;
:: una classe sensibilizzata a lavorare anche senza il suo diretto intervento;
:: una serie di attività già sperimentate, proposte e gestite in autonomia, che siano in grado di coinvolgere e di responsabilizzare il maggior numero di bambini;
:: un certo numero di alunni dotati di autorevolezza che facciano da traino;
:: la capacità di evitare che gli alunni che non si sentono sufficientemente motivati e valorizzati disturbino e ostacolino le attività;
:: la capacità da parte dell’insegnante di comprendere quando la tensione positiva è in calo e la situazione richiede un suo intervento tempestivo, ancorché non invasivo;
:: Altro è l’autorevolezza; altro è l’autorità imposta anche in frangenti in cui sembra prendere avvio il delicato e fragile equilibrio di una classe alla ricerca di un suo “modus vivendi” improntato all’autonomia.
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