In quinta, un pomeriggio la settimana, veniva il vigile a tenere la sua lezione di educazione stradale. Avevo venticinque ragazzi di cui quindici maschi, e tutti svegli. Il vigile era un cinquantenne subalpino di bella presenza, alto, atletico, baffi curati, scherzoso, con il ricordo di una scuola tanto diversa da quella che veniva a incontrare da noi. Aveva voglia di ridere e allo stesso tempo di essere autorevole, così assumeva pose serie con una faccia comica che scatenava nei ragazzi un'eccitazione difficilmente contenibile. Io lo lasciavo fare divertendomi; stavo volentieri a vedere come se la cavava in classe un uomo abituato a farsi rispettare per strada. Il vigile si piantava in mezzo alla porta guardandoli accigliato, i suoi rotoli della segnaletica sotto il braccio, l'espressione atteggiata a una severità posticcia che lo rendeva irresistibile. Invece di intimorirsi, i ragazzi lanciavano un urrà scalciando nei banchi. Lui entrava e salutandomi: - Si a j'è la cracia, - mormorava tra i denti, sicuro di non essere capito se non da me.
Avevo a quel tempo un ragazzino, Patrick, che, dopo aver girato varie sezioni senza trovarsi bene, aveva deciso di fermarsi con noi. E di frequentare. Gli andava a genio l'ambiente scapigliato, per quanto potesse essere piacevole la scuola: le maestre lo mettevano a suo agio, i compagni lo consideravano, una femmina smorfiosetta e diligentissima aveva già pianto per lui. - Ti muovi male, - le aveva detto Patrick vedendola improvvisare una danza per lui, nuovo arrivato. - Sei dura come un pezzo di legno. Lei è brava - aveva giudicato indicando (senza conoscerla) una piccola majorette che girava le piazze con il suo tamburo.
A me riservava confidenze scottanti: -Ti ho detto che mio padre è morto in un incidente, ma non è vero: lo hanno sparato -. Aveva inoltre un notevolissimo senso dell'umorismo:
- Quali pagelle hai già fatto, maestra?...
- La tua, quella di Alfio, Giacomo, Sonia e Samanta...
- Hai cominciato dai ciucci...
Di volta in volta il vigile illustrava con zelo e realismo le situazioni di pericolo più frequenti; e interrogando i ragazzi sui comportamenti corretti da tenere per strada con lo skateboard, la bicicletta, i pattini, scopriva abitudini sconcertanti spiattellate con candore provocatorio. Allora dai suoi cartelloni mi rivolgeva sguardi di irritazione impotente e comprensione fraterna, cui io rispondevo aprendo le palme come un sacerdote che celebri. Un giorno annunciò la prova pratica prevista al termine del corso. In sella a una bicicletta fornita dal Comune, ciascuno avrebbe dovuto dimostrare di riconoscere e rispettare i segnali disseminati nei viali di un grande parco. Superando l'esame si otteneva il patentino. La novità li agitò freneticamente.
-Il patentino?! - sbottò Patrick, - allora poi posso guidare...!
Il vigile drizzò le orecchie: - Cosa vuoi guidare tu?
- Il motorino. Io già lo guido. Mi serve solo il patentino.
Il vigile mi guardò sbalordito: - Si ai n'a j'è ch'a guido...!
Io temevo ciò che sarebbe venuto dopo.
- Dove guidi, tu?- domandò mantenendosi calmo.
- A Cerignola... Quest'estate anche una macchina ho guidato...
- Con tua mamma vicino...
- No no, da solo. I miei cugini grandi mi hanno messo due cuscini sul sedile e mi hanno detto: tu prendila e portala là. Non t'impicciare. La lasci vicino al casale e te ne vieni via. E io, piano piano, ce l'ho fatta.
Il vigile era diventato molto nervoso: - E cosa c'era sopra?...
- Ah, io non lo so. Lo sapevano gli altri. Io dovevo solo spostarla.
- E adesso vorresti la patente...
- Certo. Che me ne faccio di un patentino, se non mi serve a guidare?
I compagni ridevano e intanto gli davano ragione: - A cosa serve, a cosa serve? - ripetevano insolenti.
Il vigile perse le staffe: - Il patentino serve a vedere se dopo un anno avete imparato qualcosa o se sapete solo fare gli str....!
Lo pronunciò con tanta forza che l'ultima parola sembrava avesse tre erre.
Valeria Amerano
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