di Alessandro Rabbone
Da qualche mese si parla di coding nella scuola primaria. Iniziative come “Programma il futuro”, legata al documento governativo “La Buona Scuola” hanno lanciato con convinzione alcune proposte per avvicinare gli insegnanti, della primaria soprattutto, alle prime attività didattiche legate all'introduzione dei principi base del Pensiero Computazionale.
Se oggi la piattaforma “Programma il futuro” conta quasi 7.500 utenti (in continua crescita), occorre dire però che il tema del Pensiero Computazionale all'interno della consultazione nazionale relativo a “La Buona Scuola” non ha incontrato un grosso interesse di pubblico... La relativa “stanza online” è risultata penultima, tra le stanze dedicate ad altri temi, quanto a numero di proposte e risposte (vedasi la diapositiva n. 23 dei risultati della consultazione).
Evidentemente azioni ben più eclatanti (fine del sistema delle supplenze, introduzione dell’organico funzionale in luogo di quelli di fatto e di diritto, assunzione di migliaia di precari…) hanno catalizzato l'interesse del mondo della scuola.
In ogni caso, fin da settembre 2014, articoli di giornale, post in rete e gruppi Facebook hanno variamente fatto rimbalzare la notizia del coding a scuola. Qualcuno ha protestato, qualcuno si è detto soddisfatto, qualcun altro scettico, ma la maggioranza degli insegnanti si è soprattutto domandato che cosa fosse davvero questo coding. E c'è l'impressione che oggi, nonostante gli sforzi di “Programma il futuro”, la situazione non sia migliorata di molto quanto a conoscenza dei termini e delle implicazioni educative del tema in oggetto.
Proviamo allora ad andare con ordine. Se cerchiamo il termine coding su Wikipedia (in inglese) troviamo una pagina di disambiguazione che ci rimanda ad una serie di possibili significati. Quello che probabilmente si avvicina di più al caso nostro è “a phase within the process of computer programming”, una fase che sta all’interno del processo della programmazione dei computer… Dunque solo una fase, l’ultima, della programmazione, almeno secondo le definizioni di Wikipedia, comprende anche l’analisi del problema, la comprensione e la soluzione mediante un algoritmo. Il coding sarebbe dunque la parte finale, esecutiva-operativa, dello scrivere il codice.
Ma mettiamo per ora da parte questo problema e accontentiamoci di tradurre il termine con una più comprensibile “programmazione” del (o dei) computer.
Se, in fatto di istruzione e tecnologia, diamo poi uno sguardo allo stato dell'arte su scala internazionale, ci accorgiamo che iniziative tese all'introduzione del Computational Thinking in ogni ordine del sistema educativo non sono certo una peculiarità italiana. Negli USA, ad esempio, un gruppo di giganti dell’informatica (Google e Microsoft in testa) ha dato il via ad un ambiente totalmente online: Code.org, cui fa anche riferimento la stessa iniziativa “Programma il futuro” con lo scopo di insegnare le basi essenziali della programmazione a chi proprio “parte da zero”, ai bambini della primaria in primo luogo.
Code.org è stato in qualche modo suggerito, sponsorizzato e sostenuto dallo stesso presidente Obama, il quale, in un famoso messaggio alla nazione, ha pubblicamente chiesto ad ogni giovane americano di “lasciarsi coinvolgere” nell’iniziativa che dovrebbe portare tutti i cittadini americani, o almeno i più giovani, ad acquisire le nozioni ed i concetti base della programmazione.
In Europa Code Week, lanciando una “settimana europea del codice” (11 – 17 ottobre) in cui sono confluite varie iniziative di convegni, seminari e conferenze, ha inteso dare la massima diffusione al tema. In Italia, tra l'altro, il sito “figlio” del sito europeo è stato il più attivo ed ha pubblicato una serie di ottimi materiali utilizzabili direttamente dalle scuole (p. es. un MOOC di esercitazioni guidate online).
Nonostante questo, nonostante i 7.500 insegnanti iscritti a “Programma il futuro” e gli sforzi di molti per avviare iniziative di formazione e sperimentazione, rimane l'impressione che la scuola italiana rimanga complessivamente al palo su questo tema. Soprattutto non si vedono all'orizzonte, almeno per ora, iniziative istituzionali (MIUR, INDIRE...) per avviare una serie di azioni indispensabili per un cambiamento significativo sugli “oggetti” dell'istruzione. Non solo la formazione, ma anche la modifica, almeno parziale, dalle Indicazioni nazionali per il curricolo (come invece è avvenuto in Inghilterra), presuppone un piano credibile per garantire una connettività decente in ogni scuola, un piano per regolamentare e favorire la pratica del BYOD (Bring Your Own Device) che a tutt'oggi appare l'unica soluzione economica per dotare ogni alunno di un dispositivo digitale...
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