di Lia Ferrero
CLASSE TERZA
NEGLI ABISSI DEL TEMPO: LA PREISTORIA
Il "grande salto"
Come è noto, le Indicazioni Ministeriali in vigore prevedono per la scuola primaria l’approccio a un arco temporale che si estende dalla comparsa dell’uomo sulla terra alla caduta dell’Impero Romano di Occidente. Non dimentichiamo che i precedenti programmi prevedevano una carrellata di eventi che arrivavano addirittura ai giorni nostri. Tuttavia, ferma restando la riduzione del programma, l’impatto con la Preistoria comporta l’esigenza di passare repentinamente da temporalità brevi, riassumibili in meno di un secolo, a temporalità di lunghissimo respiro.
Ciò premesso, riteniamo che l’insegnante di terza possa affrontare il “salto cronologico” solo quando ritenga che la classe abbia acquisito una maturità che le consenta di dare un minimo di concretezza all’incommensurabile diacronia della Preistoria, ovverossia a quel susseguirsi di ère geologiche della durata di miliardi di anni, delle quali l’evoluzione della specie umana occupa solo l’ultima parte. Si tratta in effetti di distanze cronologiche “siderali”, delle quali i singoli alunni potranno prender coscienza solo in momenti e in modi diversi, in relazione alle personali potenzialità logiche e immaginative: le competenze matematiche richieste a una terza non li aiutano certo a concepire e a computare i miliardi di anni!
In queste brevi considerazioni ci limiteremo - e non è cosa facile, trattandosi di bambini di otto-nove anni - a tracciare le coordinate concettuali del processo di ominazione, ossia della formazione e dell’evoluzione della specie umana sin dalle sue origini. A tal fine forniremo spunti per costruire strategie di pensiero riguardanti il progressivo mutamento della postura, della struttura fisica, dell’uso di strumenti, della padronanza dell’ambiente, dell’approvvigionamento del cibo, della ricerca e della costruzione di ripari, delle forme di comunicazione e di associazione, di comune difesa e di mutuo scambio, delle espressioni di magia, di religione, di arte.
Per quanto sia nostra intenzione limitarci a sfiorare, in questo breve excursus, le grandi tappe di tale processo, riteniamo sia opportuno caratterizzarle adeguatamente, suddividendole in un percorso temporale di lunghissima durata, comprendente le origini della specie umana, il paleolitico - suddivisibile, secondo le tassonomie tuttora in uso, nelle fasi dell'homo habilis, dell’homo erectus, dell’homo sapiens, dell’homo sapiens-sapiens - e la “rivoluzione” del neolitico.
Il superamento degli stereotipi connessi a quel fantomatico “uomo primitivo” - tipico della mentalità infantile e non facilmente collocabile in un'èra, un luogo, un contesto - esige l’approccio a quelle fonti geologiche e archeologiche che consistono, in didattica, nella riproduzione fotografica di rocce, di resti fossili vegetali, animali, umani, nonché di manufatti litici. Sono queste le uniche fonti atte a consentire ipotesi credibili sui modelli di vita delle varie fasi della preistoria. Ma, per un’èra che affonda le radici nella notte dei tempi, è necessario integrare tale documentazione, indubbiamente scarna, con schizzi di scenari che evidenzino, a un livello accettabile di approssimazione, i caratteri somatici, i comportamenti e le condizioni ambientali dei primi ominidi. Le osservazioni e le argomentazioni che potranno scaturire da tali reperti e da tali scenari potranno suscitare nell’alunno, se saranno bene utilizzati, il fascino della scoperta, generando curiosità, sorpresa, genuino interesse.
Ognuna di queste rappresentazioni dovrà in ogni caso essere accompagnata da descrizioni brevi e sintetiche ma serie e rigorose, che siano in grado di porre problemi, espressi attraverso quesiti che suscitino una discussione. L’impostazione didattica del “problem solving” deve poter consistere nel guidare gli alunni a dar vita, di volta in volta, a un’intuizione, a una scoperta, alla formulazione di un’ipotesi, a un’interpretazione, alla soluzione di un problema conoscitivo, all’individuazione di un errore.
Da qui scaturisce l’azione orientativa dell’insegnante e l’opportunità che tale strategia di ricerca si realizzi e si sviluppi per quanto possibile in classe, vale a dire in un contesto monitorato di interazione e di confronto.
Si pone a questo punto un altro fra i problemi didattici che vanno affrontati quando si voglia tentare un approccio serio alla conoscenza degli scenari preistorici: la competenza geografica deve poter consistere nell’orientare a situare e a caratterizzare di volta in volta ambienti diversi, come la foresta pluviale, la savana, il ghiacciaio, la steppa, la tundra… E’ necessario a tal fine che il bambino si abitui a individuare e a collocare, sul mappamondo o sul planisfero, luoghi e vicende in un contesto spazio-temporale via via più ampio e complesso rispetto a quello proposto dalla Indicazioni.
Le origini della specie umana
Il luogo, il tempo e la natura dell’esistenza primordiale di primati comuni e la successiva differenziazione della specie umana da quella delle scimmie è il problema che ha per secoli diviso gli studiosi creazionisti da quelli evoluzionisti.
I fossili reperibili dei primati risalgono a circa 60/70 milioni di anni fa, ma i paleontologi non riescono a stabilire quando si sia verificata la “biforcazione” tra l’uomo e la scimmia. Il vuoto di conoscenza del periodo compreso tra gli 8 e i 5 milioni di anni è in parte dovuto al fatto che il clima umido della foresta pluviale africana, in cui verosimilmente sarebbero vissuti i primi australopitechi, avrebbe eroso i fossili fino a cancellarli. Tutto fa comunque supporre che i più antichi antenati dell’uomo, verosimilmente quadrupedi, vivessero in gruppo e si arrampicassero sugli alberi per nutrirsi e per difendersi.
E’ comunque opinione ormai accreditata che sia stata la Rift Valley, ossia la grande fossa tettonica africana, comprendente oggi l’Etiopia, il Kenia, la Tanzania e il Sud Africa, il luogo in cui sono vissuti i primi bipedi. Lo dimostrano le impronte impresse su un terreno vulcanico a Laetoli in Tanzania circa 4 milioni di anni fa. La capacità, da parte di alcuni australopitechi, di reggersi in equilibrio e di camminare sugli arti posteriori senza appoggiare a terra quelli anteriori, è un evento al quale l’insegnante deve poter indirizzare la riflessione del bambino: la stazione eretta implicherà d’ora in poi la possibilità di usare le mani per tutta una serie di funzioni che porteranno via via la specie umana ad assumere caratteristiche e abilità distinte da quelle delle scimmie più evolute.
In questa cornice spazio-temporale potrebbe essere stimolante far rivivere alcuni personaggi non immaginari, ma rigorosamente desunti dai fossili ritrovati, in “nicchie ecologiche” in cui sono effettivamente vissuti: i camminatori di Laetoli, Lucy, il bambino di Taung.
I camminatori di Laetoli
In una località della Tanzania chiamata Laetoli, verso la fine del secolo scorso, alcuni paleontologi scoprirono, in un tratto di terreno ricoperto da fanghiglia rassodata, un buon numero di impronte impresse da due australopitechi che camminavano senza appoggiarsi agli arti anteriori. Essi si dirigevano verso un’unica meta. Le impronte che, secondo gli studiosi, risalirebbero a circa 4 milioni di anni fa, ci dicono che i loro piedi erano piccoli - un’impronta misura solo 18 centimetri, l’altra 24 centimetri - ma che la loro forma era simile alla nostra; solo l’alluce si discostava notevolmente dalle altre dita, verosimilmente per consentire loro di arrampicarsi aggrappandosi ai tronchi e ai rami degli alberi, ancora rifugi sicuri e fonte di nutrimento.
A questo punto può avere inizio la riflessione in classe attraverso una serie di domande-stimolo del tipo di quelle che seguono. Teniamo presente che l’insegnante deve poter orientare la discussione guidando a formulare ipotesi mirate a cogliere l’esatta natura dei fenomeni, ma deve nel contempo dar libero corso alle strategie di pensiero di tutti gli interlocutori, anche quando le risposte possono apparirgli divergenti e fantasiose.
Il nome “australopiteco” significa “scimmia del sud”. Questo vi dice che la corporatura e il comportamento degli australopitechi erano più simili a quelli
:: di un uomo d’oggi
:: di una scimmia
I piedi dei camminatori di Laetoli erano più o meno lunghi di quelli di un adulto d’oggi?
Questo significa, secondo voi
:: che si trattava di bambini
:: che la loro corporatura era minuta
Nel tratto della “camminata” di Laetoli si notano solo impronte di piedi; non pensate tuttavia che i due camminatori, in altre situazioni e in altri luoghi, potessero ancora appoggiare a terra le mani?
E’ quasi certo inoltre che gli australopitechi salissero ancora sugli alberi. Per quali motivi l’avrebbero fatto?
Non erano più gli alberi della foresta vergine, ma i pochi alberi che possono popolare una savana. Cerchiamo insieme delle fotografie di una savana d’oggi. Dove la troviamo? Come si presenta? E’ tipica dei climi umidi o asciutti?
Oggi la savana è popolata da animali?
Erbivori: quali ad esempio?
Carnivori: di che specie?
Secondo voi, nella savana di quei tempi vivevano già questi animali?
Ritenete che i carnivori avessero una corporatura più o meno robusta di quelli di oggi? Che la loro andatura fosse più o meno rapida? Che i loro denti fossero più o meno acuminati?
Quali vantaggi poteva procurare ai camminatori di Laetoli il poter posare, almeno a tratti, i soli arti posteriori, tenendo le mani libere?
:: Farsi strada tra le erbe alte e avere una visione più ampia del territorio, delle sue risorse e dei suoi pericoli
:: Staccare i semi delle erbe selvatiche (i semi erano il maggior nutrimento degli australopitechi: lo dimostrano i loro denti, simili a macine)
:: Scavare radici e tuberi sotterranei
:: Stanare piccoli animali
:: Uccidere grandi animali e spolparli con coltelli metallici acuminati.
:: Staccare foglie, frutti e germogli dagli alberi
:: Prendere al volo insetti
Una risposta fra quelle formulate è inesatta. Quale? Per quali motivi lo è?
I due australopitechi che hanno impresso le loro orme nella fanghiglia di Laetoli camminavano entrambi nella stessa direzione.
Dove potevano essere diretti?
:: Alla ricerca di un luogo in cui ripararsi dalla pioggia e dai fulmini
:: Alla ricerca di un riparo dalla cenere infuocata di un vulcano in eruzione (La fanghiglia era all’origine un miscuglio di acqua e di ceneri di vulcano)
:: Alla ricerca di una fonte o di uno specchio d’acqua per dissetarsi
:: A caccia di un animale feroce. I due esseri sarebbero già stati in grado di affrontarlo? Avrebbero avuto gli strumenti per ucciderlo e per spolparlo?
Perché, a vostro parere, il ritrovamento delle orme di Laetoli è importante? Che cosa sta a dimostrare?
Abbastanza nota è l’esistenza di Lucy, una femmina vissuta nell’odierna Etiopia circa 3 milioni e mezzo di anni fa, quanto meno secondo le teorie antropologiche più accreditate. Era alta poco più di un metro e pesava circa 30 chili. Mentre non conosciamo la corporatura degli australopitechi di Laetoli se non in base alle impronte che hanno lasciato, lo scheletro di Lucy è stato in parte ricostruito con i frammenti di ossa che gli animali predatori non hanno divorato e che il tempo non ha disperso né consumato. Il suo aspetto è scimmiesco, le sue braccia sono più lunghe delle gambe; le sue mani e i suoi piedi la rendono ancora capace di arrampicarsi sugli alberi, anche se la sua andatura è bipede; il suo cervello è poco più grande di quello di uno scimpanzé. Forse morì annegata in un fiume o in una palude.
Singolari sono pure i resti del bambino di Taung, vissuto circa 2 milioni e mezzo di anni fa. Anche lui, come Lucy, è piccolo e gracile, ha un cervello molto ridotto e i tratti somatici molto simili a quelli delle scimmie. Tuttavia è bipede e ha i denti canini più sviluppati di quelli di Lucy, il che dimostra che non si nutriva solo di semi, di radici e di germogli, ma anche di carne. Il suo scheletro fu ritrovato in una delle grotte di Sterkfontein in Sudafrica, dove lo avrebbe portato a volo un’aquila che lo avrebbe rapito, becchettandolo sul volto.
L’insegnante potrà formulare in proposito quesiti idonei, prendendo spunto, se del caso, da quelli dei camminatori di Laetoli.
L'uomo diventa "abile"
A partire da circa 2 milioni di anni fa la savana della Rift Valley a poco a poco inaridisce con l’avanzata dei deserti a nord e costringe gli australopitechi a sfruttare meglio il loro ambiente per poter sopravvivere. La loro corporatura aumenta a poco a poco di volume e di peso e la loro statura arriva all’incirca a un metro e mezzo. La loro scatola cranica contiene un cervello più sviluppato, la loro mandibola è meno pronunciata rispetto a quella delle scimmie. Ma la caratteristica fondamentale che li distingue dai loro predecessori consiste nella capacità di usare le mani per costruire strumenti. Le scimmie sono in grado di servirsi di sassi per schiacciare le noci, ma sono i primi antenati dell’uomo a far uso di una pietra per scheggiarne un’altra; la scheggia diventa in tal modo tagliente e adatta a triturare semi, scavare il suolo duro e inaridito, scovare e tagliuzzare radici.
L’Homo Habilis, come viene chiamato il rappresentante della nuova specie, incomincia così a nutrirsi di carne. Tuttavia possiamo già considerarlo un cacciatore?
Certamente gli uomini della savana si cibavano di piccoli animali che riuscivano a uccidere; in seguito, poco per volta, arrivavano a scovare qualche brandello di carne nel corpo di erbivori che gli animali feroci “dimenticavano” nelle loro carcasse. Certo, se gli ominidi di quei tempi avessero aspettato che le fiere finissero il loro pasto, non avrebbero trovato più nulla. Ma poco per volta impararono a organizzarsi, emettendo grida acutissime e lanciando sassi da lontano per costringere le fiere ad abbandonare le prede. Talvolta, senza avvicinarsi troppo, spingevano grossi animali erbivori, come elefanti e bisonti, verso dirupi dai quali cadevano sfracellandosi tra le rocce o verso laghi e paludi in cui finivano annegati.
Quali potevano essere, secondo voi, i piccoli animali che gli Uomini Abili riuscivano a inseguire e uccidere?
Quali potevano essere gli animali feroci, predatori della savana?
Se gli uomini si fossero avvicinati senza difese agli animali predatori, che cosa sarebbe loro successo?
I ciottoli scheggiati rinvenuti dagli studiosi potevano essere delle armi sufficienti per affrontarli e abbatterli?
Se invece i ciottoli venivano scagliati da lontano contro le belve, a che cosa potevano servire, soprattutto se i lanci venivano accompagnati dalle grida?
Come potevano capirsi tra loro questi ominidi quando incominciarono a riunirsi in gruppo per i primi esperimenti di caccia?
:: Attraverso segni
:: Con suoni della voce
:: Percuotendo oggetti metallici.
Una di queste risposte è errata. Quale? Perché lo é?
Numerosi ciottoli scheggiati sono stati trovati in gran quantità soprattutto sulle rive dei laghi dell’Africa Centrale e Meridionale. Perché, secondo voi, i laghi erano a quei tempi i luoghi più abitati?
A vostro parere, a questi primi tentativi di procurarsi carne partecipavano anche le donne e i bambini?
Se no, perché?
La raccolta era un’occupazione più facile e meno pericolosa per quegli esseri più deboli e indifesi. Che cosa potevano raccogliere a quei tempi?
:: Frutti e germogli degli alberi
:: Chicchi di piante erbacee
:: Piccoli animali che vivono nella terra. Quali per esempio?
:: L’uomo eretto, il primo viaggiatore
Circa 200.000 anni dopo l’Homo habilis compare nella Rift Valley una specie umana più progredita. Si tratta, sempre secondo la nota categorizzazione, dell'Homo Erectus. La specie ha una durata straordinariamente lunga: se ne trovano esemplari fino a circa 300.000 anni fa. E’ assai difficile seguire le varie tappe della sua evoluzione sulla base soltanto dei reperti fossili; tuttavia una serie di caratteristiche somatiche, funzionali e comportamentali distingue le sue forme di vita da quelle dell’Homo Habilis. Cerchiamo di scoprire quali.
La corporatura
L’”Uomo Eretto” é più alto e meglio proporzionato dell’ “Uomo Abile”. Il suo cranio é più massiccio e robusto, segno questo di un ulteriore accrescimento della massa cerebrale.
Sulle rive del lago Turkana, nell’attuale Kenia, è stato rinvenuto lo scheletro di un ragazzo di circa dodici anni, appartenente a tale specie, alto un metro e sessantacinque centimetri.
Se avesse raggiunto lo sviluppo completo, quale statura avrebbe potuto raggiungere, a vostro parere?
Anche gli australopitechi di Laetoli erano in grado di camminare appoggiando solo gli arti inferiori. Dunque non erano già anch’essi degli “uomini eretti”?
:: No, perché posavano a terra i piedi e non le mani solo di tanto in tanto
:: No, perché la loro corporatura era ancora inclinata verso terra
Entrambe le risposte possono essere esatte?
Le migrazioni
L’ “Uomo Eretto” riusciva ad adattarsi ad ambienti diversi da quello della savana, il che spiega il fatto che la sua specie si sia diffusa a poco a poco non solo in Africa, ma anche in altri continenti: in Asia e specialmente in Cina; in Europa, e precisamente in Spagna, in Germania, in Grecia, in Francia (nella cosiddetta “Terra Amata”, presso Nizza). In Italia è stato rinvenuto un cranio dell’Homo Erectus nel 1996, durante la costruzione di una strada a Ceprano, in provincia di Frosinone.
Secondo voi, l’Uomo Eretto migrò in altri continenti nel corso di Mesi? Anni? Secoli? Millenni?
A vostro parere, la specie conservò gli stessi caratteri o assunse caratteri diversi a seconda dei luoghi in cui visse? Provate a discuterne con l’aiuto dell’insegnante.
Il fuoco
Anche i primi australopitechi conoscevano il fuoco. Dove potevano averlo scoperto?
In tratti di foreste o di savane in fiamme causate da un fulmine
Nelle vicinanze di vulcani che eruttavano
Continuate voi, pensando ad esempio all’autocombustione.
Ma l’abilità dell’ “Uomo Eretto”, o almeno di quello vissuto in tempi più vicini a noi, consistette nel produrre il fuoco, sfregando fra loro due pietre o due legnetti e facendo scaturire una scintilla che veniva messa a contatto con
:: Erba secca
:: Paglia usata per gli animali domestici
Qual è la risposta errata? Perché lo è?
Quale uso poterono fare gli uomini del fuoco? Provate a creare qualche frase appropriata, servendovi di parole come “caverne, focolari, cibo, caccia, animali feroci…”
Nuovi strumenti per sopravvivere
L’ “Homo habilis” arrivava al massimo a usare schegge o ciottoli resi taglienti dalla percussione con altri ciottoli. L’ “Homo erectus” seppe modificare questa tecnica nel corso dei millenni, arrivando a scheggiare i sassi su entrambe le facce e a renderli più adatti ai differenti usi. Nacquero così dalle schegge le punte di lancia, i percussori, antenati dei martelli e degli scalpelli, i raschiatoi, utili a separare i brandelli di carne dalle pelli degli animali cacciati...
Secondo voi, gli strumenti di quel tempo erano tutti di pietra? Oppure anche di
:: Ossa di animali?
:: Legno?
:: Metallo?
Qual è la risposta errata?
Di quel periodo gli studiosi hanno ritrovato vari utensili di pietra, pochi di osso, quasi nessuno di legno. Cercate di spiegare perché.
Nuovi ripari
Per ripararsi dal freddo, dalle intemperie e dagli animali feroci, l’ “Uomo Eretto” usava grotte, caverne, rocce sporgenti.
Queste potevano trovarsi
:: Sulle pareti o ai piedi delle montagne
:: Sulle rive rocciose dei mari
:: In pianure piatte e senza alture
Qual è la risposta errata?
Quando mancavano le caverne, come poteva ripararsi l’ “Uomo Eretto”?
:: In gallerie sotterranee (Scavate come? Da chi o da che cosa?)
:: In capanne improvvisate
Che materiale poteva usare l’uomo del tempo per costruire le prime capanne?
:: Frasche
:: Sterpi
:: Ossa e pelli di animali uccisi
:: Paglia usata dagli animali domestici
Qual è la risposta sicuramente errata? Perché lo è?
Quando i nostri antenati si spostavano, che cosa ne facevano, secondo voi, delle capanne?
:: Se le portavano sulle spalle
:: Le abbandonavano
Gli uomini di quei tempi si spostavano facilmente in gruppo. Perché?
:: Dovevano inseguire i branchi di animali da cacciare
:: Dovevano abbandonare il tratto di savana in cui vivevano perché non offriva più il nutrimento necessario
:: Erano inseguiti da nemici. Quali potevano essere? Perché lo erano?
Riflettete sulle tre affermazioni: possono essere tutte adatte?
Nuove tecniche di caccia
Mentre l’“Homo habilis” disponeva di pochi strumenti per cacciare i grandi animali erbivori della savana, l’ “Homo erectus” imparò lungo il corso dei millenni a organizzarsi in gruppi. Individuata la preda, i cacciatori la colpivano a distanza con sassi, con punte di lancia o con torce infuocate, ma non avevano ancora il coraggio e la capacità di ucciderla da vicino: dovevano ancora farla precipitare dai burroni o costringerla ad annegare nei laghi, nei fiumi, nelle paludi.
Spesso si trattava di grandi animali come gli elefanti o i bisonti; in questi casi i cacciatori dovevano poterli macellare sul posto: perché?
Successivamente dovevano trasportare ai loro ripari pezzi di carne, ossa, denti, corna, pellicce… In che modo?
:: Caricandoseli sulle spalle
:: Trascinandoli a braccia sul terreno
:: Usando carri
Una risposta è errata. Perché?
Note conclusive
Le descrizioni e le argomentazioni contenute in questo testo necessiterebbero di disegni e di schizzi che il breve spazio a disposizione non consente di riprodurre.
Non resta quindi che rimandare, al momento, a testi specifici. Ne elenchiamo due tra i più significativi in relazione al periodo in esame:
“La Storia”, Biblioteca di Repubblica, vol I^ (Dalla Preistoria all’antico Egitto), 2004
“Preistoria”, Giunti Junior, 2010.
(...Continua...)
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