Didattica della storia nella Scuola Primaria

di Lia Ferrero

CLASSE PRIMA
TEMPO VISSUTO, TEMPO PENSATO

Come lo pensano i bambini?

Costruire il concetto di tempo non è un’impresa facile: non ci si può adagiare sul presupposto che l’idea di tempo sia innata, ma nemmeno si può coltivare l’illusione che il vissuto del bambino generi di per sé la riflessione. Per comprendere il livello di maturità della classe l’insegnante provi a sottoporre ai bambini, in forma di brain-storming, alcune domande-stimolo del tipo di quelle che seguono. Esse potrebbero apparire a tutta prima come delle astruserie filosofiche, ma potrebbero per contro suscitare risposte ispirate a un’insospettabile “saggezza”, come se derivassero da archetipi profondi che l’uomo ha maturato attraverso i millenni della sua storia: Che cos’è per te il tempo? Come lo rappresenteresti? Come ti accorgi che il tempo passa? È lento o è veloce? Lo puoi richiamare? E come?

Le risposte che riportiamo sono state formulate verbalmente e in modo non artificioso da bambini di sei/sette anni, appartenenti a una prima o a una seconda classe, e sono state registrate in tempi e situazioni diverse di conversazione e di discussione, ovviamente in ambito scolastico.

In una fase iniziale il tempo equivale per il piccolo al tempo atmosferico, quello che s’intreccia più facilmente al suo vissuto in quanto gli consente di soddisfare il suo bisogno vitale di spazi aperti, di libertà dalle costrizioni quotidiane, di evasione dall’aria inquinata della città: Il tempo è che prima c’era la pioggia e poi il sole. Per me il tempo è la pioggia, le nuvole e il sereno.

Non di rado il tempo appare invece come incardinato nelle azioni che il bambino compie in un determinato periodo: Quando cammino veloce il tempo va veloce; quando cammino piano il tempo va piano.

Alcuni bambini, interagendo fra loro anche se in modo un po’ confuso, associano lo scorrere del tempo ai movimenti della terra: La terra gira e il tempo gira ed è da tutte le parti; altrimenti, se nasci e il tempo non gira, tu rimani sempre piccolo./ Il tempo per me passa più in estate perché la terra gira più forte e il sole scende più tardi, d’inverno la terra gira più piano e il sole scende in fretta./ Il mondo gira e il tempo passa quando il mondo gira.

Le rappresentazioni del tempo si configurano spesso come ardite simbolizzazioni in un crescendo di immaginazione: Il tempo è una cosa che non si vede e non si tocca, però sappiamo che c’é.

Il tempo è come un postino che passa e poi ritorna il giorno dopo / Ma il postino, se non c’è posta, non passa, invece il tempo passa sempre.

È come un fiume che viene dalla montagna… e arriva al mare / No, il tempo non arriva da nessuna parte: non ha né un inizio né una fine. È bianco, non si vede: è una strada invisibile che passa tutti i giorni, anche di notte.

È facile a volte cogliere nelle espressioni una vena di tristezza e quasi di sgomento nei confronti di un tempo cumulativo che scorre inesorabilmente e non si arresta, che non torna indietro e che non è possibile far rivivere, che fa crescere e fa invecchiare, che porta a maturazione e che estingue, che accresce e che consuma: Vediamo che il tempo passa perché, quando cresci, i vestiti non ti vanno più bene, le scarpe sono strette, le cartelle si rompono, i muri diventano scrostati. Vai in un prato e c’è un albero giovane e verde; passa il tempo e l’albero è secco: è passato del tempo. Il tempo è brutto perché, più passano gli anni, più invecchio.

Il tempo passa, passa sempre. Quando dormo il tempo passa; anche se sto ferma, immobile, passa sempre / Meno quando muori / Quando muoio, per me non passa più / Quando uno muore, per lui il tempo non passa più, per gli altri però passa sempre / Quando muori tu non finisce il mondo: nascono altre persone e il mondo non finisce mai.
l bambini più riflessivi hanno in generale la percezione del fluire più o meno rapido del tempo: Se io gioco il tempo passa più in fretta; quando sono ammalato e mi annoio il tempo non passa mai/ Se fai cose divertenti il tempo passa veloce; se fai cose noiose il tempo non passa.

Per me Dio ha creato il tempo perché, quando c’era la guerra, ci sono i terremoti, passa in fretta e finiscono. Se non c’era il tempo duravano sempre.
In ogni caso lo scorrere del tempo viene generalmente considerato come indipendente dalla volontà dei singoli: Il tempo non è una cosa che uno dice: “Oggi non mi piace, vado subito a domani… Così sarebbe facile: uno vorrebbe vivere nella giornata che gli piace di più”.
Il tempo non si può mai fermare; va sempre avanti… Non lo comanda nessuno: è il capo di tutti, però non fa quello che vuole, fa quello che deve perché, se deve venire un minuto di più, un minuto non viene.

Qualche spunto didattico

Al suo ingresso a scuola il bambino possiede comunque una “sua” esperienza del tempo vissuto: il compito dell’insegnante dovrebbe poter consistere pertanto, in una classe prima, nel predisporre una serie graduale e accattivante di attività didattiche che consentano di trasformare le intuizioni in riflessioni, in consapevolezze e in scoperte. A tale scopo occorrerebbe partire dal livello di maturità globale della classe senza per questo attendere la piena acquisizione delle strumentalità del leggere e dello scrivere: la riflessione sul tema passa, a questa età, attraverso la verbalizzazione e la socializzazione delle sensazioni, delle percezioni e degli stati d’animo, la drammatizzazione, l’attività motoria, la manualità, l’espressione grafica, la produzione musicale…

Un itinerario didattico sistematico che copra l’arco della classe prima dovrebbe poter essere in grado di trasformare le intuizioni originarie e spontanee in una elementare capacità di “pensare il tempo”. Da qui l’esigenza di promuovere esperienze concrete e coinvolgenti in ordine a quelli che possono esser considerati come i regolatori temporali classici: la successione, la ciclicità, la contemporaneità, la durata, il passato, il presente, il futuro…
Per esigenze di spazio non possiamo in questa sede suggerire attività in relazione a tali regolatori. Ci limitiamo pertanto a fornire qualche spunto didattico in ordine a due concetti cardine:
1) La concezione del tempo non tanto come forza attiva e propulsiva che determina da sola il cambiamento, quanto piuttosto come una variabile, necessaria ma non sufficiente, a produrre ogni possibile mutazione nella natura inorganica, nei vegetali, negli animali, nell’essere umano.
2) La possibilità di “richiamare” il passato attraverso la memoria e la fonte (il concetto sarà trattato nel numero successivo).

Il tempo come una delle variabili del cambiamento

Il bambino deve poter toccare con mano che il fattore tempo contribuisce indubbiamente al cambiamento di cose, animali, persone, ambienti, situazioni, ma che non basta tuttavia lasciar passare del tempo per ottenere i cambiamenti previsti o desiderati.
Per quanto riguarda la materia inorganica, alcune esperienze si prestano in modo particolare a mettere a fuoco il problema.
Suggeriamo a questo proposito un’esperienza meramente provocatoria, mirata a far comprendere l’impossibilità che un cambiamento si produca in assenza di requisiti essenziali inerenti alla natura di una determinata materia.
Seminar monete. L’attività potrebbe prendere lo spunto dalla lettura del passo di “Pinocchio” in cui il burattino viene indotto dal Gatto e dalla Volpe a seminare le sue monete nel Campo dei Miracoli.

L’insegnante potrà fare interrare alcune monete di taglio diverso in una cassetta di terra, procurando di creare tutte le condizioni che sarebbero necessarie per una germinazione effettiva: fertilità del terriccio, regolare apporto di acqua, di calore, di luce. Le monete metteranno le radici? Produrranno uno stelo? E se sì, in quanto tempo?
È possibile che i bambini facciano l’unica previsione esatta, ma non sono da escludersi previsioni affermative o quanto meno dubitative sul verificarsi e sui tempi della germinazione. Quando, al termine di tre/quattro settimane, anche i bambini meno “esperti” constateranno che nulla si è verificato, potrà essere utile un brain-storming finalizzato a scoprire le cause della non avvenuta germinazione: È passato il tempo necessario, ma le monete non sono germogliate: perché? Perché le monete non si sbucciano; perché sono di ferro e le cose di ferro non crescono; perché non hanno la forza, perché non hanno la vita. Solo pochi bambini arrivano a individuare e a formulare, con maggiore o minore efficacia, la vera causa della non avvenuta germinazione: l’aver messo a dimora una sostanza inorganica che inibisce il prodursi di una mutazione malgrado lo scorrere del tempo.
Le due coppette di gelato. Quando deve conservare il gelato di due coppette appena comprate, il bambino può rendersi conto del perché quello che inopinatamente mette in frigo si sciolga, mentre quello che mette nel refrigeratore si rassodi e basti riportarlo a temperatura ambiente per poterlo mangiare. Eppure il tempo di mantenimento nei due scomparti del frigo è il medesimo: che cosa cambia?

Per far crescere le pianticelle non basta il tempo. È possibile ricorrere alle consuete esperienze di germinazione che vengono in genere praticate in classe per dimostrare l’assunto secondo il quale, a parità di tempo trascorso dalla germinazione, determinati semi della stessa natura, messi a dimora in vasi diversi, si trovino o meno nelle condizioni adatte per germogliare. Due vasi conterranno rispettivamente terriccio fertile e ghiaia; altri due conterranno entrambi terra fertile ma verranno rispettivamente innaffiati e tenuti all’asciutto; altri due saranno tenuti rispettivamente al caldo e al freddo; altri due ancora saranno conservati rispettivamente alla luce e al buio. Dopo due settimane quali potranno essere i risultati dimostrabili? E dopo un mese? Il tempo trascorso è il medesimo per ogni coppia di vasi, ma ciascuna delle diverse variabili favorisce o inibisce la crescita delle pianticelle: non è dunque il puro e semplice scorrere del tempo a produrre analoghi risultati.

Il mettere di fronte il bambino a determinate situazioni-problema, inserite eventualmente in un contesto narrativo più o meno elaborato e complesso, gli consente di scoprire le cause del prodursi o meno di fenomeni desiderati o temuti.
La ferita al ginocchio. Luca è caduto su un sasso e si è procurato un taglio al ginocchio. Non ha voluto dirlo alla mamma per timore di essere rimproverato: ha lavato la ferita con un po’ d’acqua e l’ha coperta con i pantaloncini. Ma, dopo qualche giorno, si è accorto che questa diventava rossa e gonfia e gli faceva male. Spaventato, ha finalmente chiesto aiuto alla mamma, che lo ha disinfettato, ha spalmato sulla ferita un pomata antibiotica, l’ha fasciato. Ogni giorno il ginocchio migliora. Fra quattro/cinque giorni la ferita si sarà rimarginata, il rossore e il male scompariranno.
Che cosa ha causato l’infezione? Poteva bastare il tempo a guarire la ferita? Che cosa è stato necessario fare? Perché?

I tre gemelli. Ermelinda è una bella gatta bianca che vive nel cortile della cascina di Silvano. Un mattino si rintana nel fienile e partorisce tre piccoli: uno bianco, uno grigio tigrato e uno bianco chiazzato di rosso. Due sono maschi e uno è femmina: sono vispi, affamati, con gli occhi ancora chiusi. Silvano dà loro un nome in base al colore del pelo: chiama i due maschi Bianchino e Bigetto e chiama la femmina Rossina. Ermelinda li allatta pazientemente e i tre crescono a vista d’occhio. Un mese circa dopo la loro nascita Ermelinda si concede di tanto in tanto un po’ di libertà. Ma un giorno, mentre va a caccia di lucertole e di topi campagnoli, viene investita da una macchina e muore. Ora i tre orfanelli devono potersela vedere da soli: non si sa chi sia il loro padre, e comunque i gatti maschi non si curano dei figli. Silvano comunque non dimentica mai di preparare loro la zuppa e a volte vi aggiunge una ciotola di croccantini. Quattro mesi dopo la morte di Ermelinda ciascuno dei gemelli vive una vita tutta sua, del tutto diversa da quella degli altri due. Bianchino vive in mezzo alla tribù dei gatti del cortile. È agile, magro, sporco, con gli occhi cisposi: i gatti adulti, quando divorano la zuppa, cercano di non fargli posto accanto alla ciotola, lo graffiano, gli tolgono il boccone di bocca. Per poter rimediare un pasto, Bianchino deve potersi arrampicare sul glicine per rubare le uova dei nidi di colombi. Fa salti acrobatici, scava buche nel terreno, corre come un fulmine quando i gattoni lo rincorrono, soffia come un mantice e graffia per non farsi rubare la preda. Bigetto non ha mai trovato il coraggio di affrontare le guerre di cortile e non trova di meglio che rimanersene acquattato nel fienile in cui è nato. Silvano ha cercato più volte di farlo scendere in quel campo di battaglia, ma Bigetto risale sempre ad acquattarsi in mezzo al fieno: mangia la zuppa che Silvano gli porta, si muove un po’ per sgranchirsi le zampe, ma in generale dorme quasi tutto il giorno: è un gatto pigro e solitario. Rossina è stata adottata da una famiglia di vicini. I due bambini, un maschio di otto anni e una femminuccia di sei la considerano il loro giocattolo e non la lasciano mai in pace. Solo quando i due sono a scuola, Rossina si acciambella e dorme al sole. Ma quando la mamma cucina, si accoccola su una sedia come se la cosa non la interessasse, e, appena la signora Elena volta la schiena, balza fulminea sul tavolo, addenta una bistecca o una coscia di pollo e va a nascondersi in cantina per mangiarsele in pace. Rossina è ben pasciuta, ma agile; ha il pelo liscio e folto; ama stare all’aperto ma, quando fa freddo, si ripara sotto un termosifone facendosi coccolare da tutti: è un gatta domestica. Una sola nidiata, tre vite diverse.
Quanto tempo è passato da quando i gattini sono nati? Per quanto tempo sono vissuti insieme, accanto alla loro mamma? Da quanto tempo vivono separati? Quali esperienze li ha resi così diversi tra loro? Ognuno di loro ha inoltre affrontato la vita con atteggiamento diverso: quale? È stato solo il trascorrere del tempo a cambiare il comportamento dei tre gemelli?
Passando dalla sfera vegetale a quella animale le variabili che determinano il cambiamento diventano più complesse e determinano comportamenti diversi, ispirati all’istinto di sopravvivenza, alla capacità di adattamento, alle occasioni e alle circostanze che vengono offerte o negate. Entrano in gioco variabili a volte imponderabili, al confine con la sfera psicologica, attinenti alla capacità dei singoli soggetti di affrontare situazioni favorevoli, problematiche o avverse in un contesto ambientale complesso e variabile.

Quando poi, in una fase ulteriore della classe prima o all’inizio di una seconda, si passi a esaminare alcuni tra i più significativi aspetti dell’itinerario di crescita del bambino fino all’età di sei/sette anni (linguaggio, gioco, relazioni umane, sviluppo cognitivo…) riteniamo possa meglio caratterizzarsi quel processo di consapevolezza che caratterizza la vera storia: quella in cui i fatti e gli eventi vengono ripensati dai soggetti che li vivono. Si fa strada in tal modo l’idea di passato; nasce l’esigenza di richiamarlo esercitando la memoria e interrogando, in sua vece, la fonte. Dal vissuto del bambino all’infanzia dei genitori, dei nonni e dei bisnonni: un secolo di storia degli eventi e dei costumi di quello che è il suo contesto di appartenenza fornirà ricchi e significativi spunti di indagine per il primo biennio della scuola primaria.