di Alessandro Rabbone
Basta scorrere la pagina di Wikipedia dedicata ai linguaggi di programmazione educativi (pagina in inglese, dato che non ne esiste un'equivalente in italiano) (http://en.wikipedia.org/wiki/Educational_programming_language) per capire quanto sia ricca e variegata l'offerta in termini di software, quasi sempre gratuito, che la tecnologia offre, o potrebbe offrire, alla scuola in tema di pratica didattica informatica.
Offerta ricca e diversificata anche dal punto di vista della filosofia educativa di fatto implicata in ciascun prodotto. Si dia per esempio una veloce scorsa alla pagina http://www.wikivs.com/wiki/BASIC_vs_Logo per comprendere i differenti obiettivi tra il Basic ed il Logo sul piano dell'istruzione e/o dell'educazione: più istruzionista il primo, più costruttivista (o costruzionista, come affermerebbe il suo inventore S. Papert) il secondo.
Nonostante il dibattito che contrappone le diverse filosofie pedagogiche risalga agli anni '60 del secolo scorso, (50 anni - quasi ere geologiche per il mondo dell'informatica...) il tema si pone oggi più che mai come stretta attualità per la scuola italiana, che a differenza di quella americana, non si è mai interessata più di tanto a questo genere di problemi cognitivo – pedagogici.
La novità è costituita dal fatto che le ultime Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione (settembre 2012) per la prima volta prevedono come possibile, ma curricolare, l'insegnamento di un semplice linguaggio di programmazione anche nella scuola primaria.
"Quando possibile gli alunni potranno essere introdotti ad alcuni linguaggi di programmazione particolarmente semplici e versatili che si prestano a sviluppare il gusto per l'ideazione e la realizzazione di progetti (siti web interattivi, esercizi, giochi, programmi di utilità) e per la comprensione del rapporto che c'è tra codice sorgente e risultato visibile" (Indicazioni nazionali, Tecnologia, pag. 66).
Il breve paragrafo qui citato che compare al termine della pagina di presentazione dedicata alla disciplina Tecnologia (per cui normalmente sono previste una o due ore settimanali) rischierà forse di passare inosservato ai più, ma introduce, nonostante tutto, un'importante nuova dimensione didattica.
Se si eccettuano alcune prime sperimentazioni quasi “pionieristiche” di insegnanti che già negli anni '80 avevano scelto di introdurre l'uso dei computer nella scuola di base proprio con l'insegnamento di un linguaggio di programmazione educativo (Basic o Logo, appunto), nei decenni passati la tendenza della scuola in fatto di tecnologia informatica aveva preferito investire massicciamente nell'utilizzo diffuso, generalizzato e trasversale (alle discipline) del digitale stesso. Scelta istituzionalizzata e parzialmente finanziata con fondi ministeriali che portò al PSTD (Programma di Sviluppo Tecnologie Didattiche 1997 - 2000) e alle attuali iniziative di Scuola Digitale (Piano LIM, Cl@ssi 2.0...).
Iniziative certamente assai opportune e condivisibili sotto moltissimi punti di vista, ma forse involontarie veicolatrici di una certa confusione di fondo circa il ruolo che l'informatica e il digitale hanno, o potrebbero avere, nell'ambito dell'istruzione del primo ciclo. La confusione riguarda l'informatica come strumento per lo studio delle discipline o l'informatica come oggetto di studio a sé. In termini più semplici è evidente che non è sufficiente portare i ragazzini in laboratorio a scrivere con un word processor o a cercare dati e informazioni su Internet per poter poi affermare di aver fatto “un'ora di informatica”, come invece spesso si sente dire o si legge nei libri di testo.
In ogni caso credo che l'entrata in vigore delle Indicazioni del 2012, compreso il breve paragrafo sopra citato, sia l'occasione perché la scuola italiana, la primaria e la secondaria di primo grado innanzi tutto, si pongano finalmente l'interrogativo sull'opportunità di un insegnamento curricolare dei concetti base dell'informatica già dai primi anni di scuola.
Le Indicazioni stesse affermano nelle Finalità (pag. 9) che “Il sistema scolastico italiano assume come orizzonte di riferimento verso cui tendere il quadro delle competenze-chiave per l'apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell'Unione europea [...]” del 2006. Occorre allora domandarsi se e quanto l'introduzione di semplici linguaggi di programmazione, adatti alle caratteristiche cognitive dell'infanzia, possano concorrere a sviluppare due competenze-chiave in particolare: la competenza digitale e l'imparare a imparare.
Occorre domandarsi in che cosa davvero consista la competenza digitale e quanto questa sia davvero considerata come facente parte di un necessario bagaglio culturale di ogni cittadino europeo e quindi svincolata da una visione prettamente pragmatica ai fini di un possibile futuro impiego nel mondo del lavoro.
Un altro interrogativo riguarda l'imparare ad imparare. In questo caso forse l'introduzione di linguaggi che implichino e favoriscano un forte ricorso a metodi euristici e alla costruzione di proprie strategie di approccio ai problemi potrebbero giocare un ruolo davvero importante. Soprattutto occorre chiedersi quanto un'esperienza a contatto con i concetti base dell'informatica (istruzione, iterazione, ciclo, variabile...) oltre al valore di acquisizione di conoscenze, possa avere un valore formativo – cognitivo in generale.
Infine, da un punto di vista più propriamente educativo, non dovrebbe essere considerata secondaria una scelta che indirizzi i giovani ad assumere, nei confronti della tecnologia digitale, un atteggiamento di partecipazione attiva e, per quanto possibile, consapevole, abbandonando un ruolo (sempre molto criticato, almeno a parole) di consumatori – utilizzatori passivi ed acritici.
In riferimento a quest'ultimo tema e anche per tornare all'elenco dei linguaggi di programmazione accennato all'inizio, sembra allora opportuno segnalare una delle proposte didattico – educative più interessanti degli ultimi anni.
Si tratta di Scratch (http://scratch.mit.edu), sviluppato in Squeak, dialetto di Smalltalk, che con Etoys (altro linguaggio di programmazione un po' più avanzato) fa parte del noto progetto internazionale One Laptop per Child (http://one.laptop.org/).
Scratch è stato sviluppato dal Lifelong Kindergarten Group dei Media Lab del MIT.
Adatto ad una larga fascia di età (in Italia viene anche usato nel primo biennio di qualche Istituto Tecnico per introdurre appunto gli elementi fondamentali della programmazione) è particolarmente fruibile dagli alunni degli ultimi tre anni della scuola primaria e da quelli della secondaria di I grado. Infatti grazie alla sua struttura “a blocchi” (le istruzioni non devono essere digitate, ma semplicemente trascinate sullo schermo da un elenco precostituito) permette di evitare i frequenti errori di sintassi del codice che impediscono spesso ai neofiti che usano i linguaggi tradizionali la capacità di concentrarsi sugli aspetti logici della programmazione.
Nonostante la struttura a blocchi precostituiti è possibile comunque, dalla versione 2.0, interamente online e completamente gratuita, definire o creare nuove procedure, (rappresentabili con nuovi blocchi) che possono essere conservate e condivise.
Ma la vera peculiarità di Scratch, è forse la sua dichiarata finalità pedagogica: “Scratch aiuta i giovani ad imparare a pensare in modo creativo, a ragionare in maniera sistematica e a collaborare - tutte queste sono capacità essenziali nel 21-esimo secolo.”
L'aspetto intrinsecamente collaborativo è garantito dal fatto che Scratch è supportato, da una vastissima comunità internazionale (che ha già creato oltre 3 milioni di progetti), un vero e proprio social network 2.0, che incoraggia in modo esplicito la collaborazione tra utenti, la copiatura (o meglio il remix) dei progetti, i commenti e lo scambio di aiuto e di materiali.
Completa il quadro complessivo una nutrita comunità di educatori che sostiene il progetto e fa capo ad un ambiente specifico: http://scratched.media.mit.edu/
A giudicare dal numero di interventi sul forum in italiano (presente nel sito della comunità che coincide con quello dell'ambiente di lavoro) in confronto a quelli sui forum di altri paesi europei si direbbe che la scuola italiana non sia troppo presente e partecipe in qualche modo all'esperienza... C'è solo da sperare che, anche a seguito nel nuovo e breve paragrafo delle Indicazioni nazionali la situazione migliori nei prossimi anni.
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