La scuola dei disagi (I parte)

Cercherò di evitare un discorso para-sindacale, è una tentazione che viene spesso parlando del proprio lavoro quindi non garantisco di sfuggirvi completamente. Parlerò in particolare della scuola dell’obbligo scegliendo di non attaccare un’istituzione che ha delle responsabilità ma è più che bistrattata.

Parlare della scuola dei disagi per me non è un esercizio accademico, significa invece parlare della mia vita e di quella di tante persone che conosco bene, che hanno speso e spendono energia, intelligenza e capacità per compiere quotidianamente l’impresa di fare scuola … significa anche parlare di e per quell’infinito numero di bambini e ragazzi che ogni giorno vivono a, e la, scuola … nonostante i diversi e pesanti disagi!

IL DISAGIO DEGLI ALUNNI - DI CHI E COSA STIAMO PARLANDO?
Comunemente diciamo che il disagio è un fenomeno difforme di malessere, prodotto da cause diverse: sociali, culturali, emozionali, istituzionali, familiari.

Vanno abbandonate le idee dell’eccezionalità del disagio a scuola, per assumere un nuovo paradigma, che comprenda costanza e ricorsività.

Difficoltà di natura diversa che originano da problemi nella vita di un bambino, si esprimono e/o possono acuirsi a fronte delle richieste e/o del funzionamento della scuola.

Si può dire che (il disagio che si esprime a scuola) “è frutto della relazione intercorrente tra un bambino che vive un’esperienza di disagio e l’adulto, l’insegnante, l’operatore che entra in rapporto con lui, sentendosi a disagio a sua volta” (Bucciarelli).

Certamente esiste una stretta relazione tra agio - disagio / successo - insuccesso scolastico se consideriamo l’importanza del senso di appartenenza e di come questo sia strettamente correlato con il livello di autostima dei bambini, ma l'appartenenza, la disponibilità a identificarsi e a spendersi nell'istituzione, cambiano radicalmente di intensità a seconda che vi si vivano diverse situazioni di tipo affettivo, sociale e intellettivo.

Sembra addirittura banale ricordare che un bambino-ragazzo che non sta bene, che soffre, non può imparare bene; le sue energie, la sua attenzione, saranno distratte e disturbate dallo sforzo per il controllo di sé e della situazione.

In relazione all’eziologia del cosiddetto disagio scolastico, pare applicabile anche a questo contesto un ragionamento che ponga le basi della sua insorgenza su una serie di fattori favorenti:
:: ascrivibili alle dinamiche del sistema sociale globalmente inteso;
:: rilevabili nel contesto relazionale più prossimo all’individuo, nella famiglia in particolare;
:: rintracciabili in problemi delle funzioni cognitive e strumentali e/o della sfera affettiva e relazionale e/o in eventi imprevedibili / scatenanti;
:: riferibili alle condizioni di funzionamento della scuola, al “clima” ed alle relazioni interne(Prina 1997).

Un bambino o una bambina, può sentirsi ospite indesiderato a scuola, oppure "prigioniero", non accettato o più semplicemente può non riuscire a capire gli scopi e le regole del gioco, o sentirsi obbligato/a ad esercitare il diritto di frequentare la scuola quasi fosse un "pedaggio" da pagare per diventare grande: comunque sia vivrà male questa esperienza.

Va evidenziata una correlazione tra la percezione che il bambino o la bambina ha dell’essere tenuto/a in conto, il grado di benessere scolastico (intendendo benessere come essere in relazione positiva con se stessi e con gli altri) e tra queste, che potremmo considerare come delle precondizioni, e la qualità dell'apprendimento: poiché dal benessere nascono le motivazioni per capire, per informarsi, per investire energie ed idee nel gruppo classe che allora potrà diventare non solo un aggregato di individui nello stesso spazio, ma un riferimento per la propria crescita individuale.

Ecco perché grande importanza hanno quegli insegnanti che non lasciano fuori nessuno, che riescono ad avere uno "spazio nella mente" per ogni bambino e bambina cercando di conciliare il diritto di ciascuno alla propria formazione e la valorizzazione delle personalità individuali, l'attenzione alle istanze soggettive e la dimensione comunitaria del fare scuola.

Infine, va ancora evidenziata una correlazione fra disagio scolastico e forme di insuccesso anche non scolastico, sul piano affettivo, familiare, sociale, ecc.; su questa base germina gran parte della devianza. Si può ipotizzare un’escalation: se il bambino si scontra con diverse forme di insuccesso, fra le quali si stabiliscono necessariamente relazioni, si crea un circolo vizioso in cui il suo disagio è destinato ad aumentare.

Lo svantaggio socio-culturale ed economico
Pressoché in tutte le scuole troviamo taluni bambini o ragazzi che vivono in famiglie la cui situazione è caratterizzata da svantaggio socio-culturale, rispetto ad un ipotetico livello standard; vi sono realtà scolastiche inserite in territori in cui il numero delle famiglie e di bambini che vivono una situazione simile è elevato e in cui spesso, proprio per questo motivo, il lavoro di prevenzione e contenimento del disagio ha una storia più “antica” ed è maggiormente visibile.

In estrema sintesi succede che una forma di svantaggio socio-culturale, presente già all’ingresso di questi bambini a scuola, sia causa di molte difficoltà che a loro volta possono causare un accrescimento dello svantaggio stesso e del disagio conseguente. Si rischia così la creazione di un circolo vizioso in cui le disuguaglianze tendono spontaneamente ad aumentare nel corso degli anni della frequenza scolastica.

Per le cause ci si riferisce ancora sempre soprattutto a famiglie troppo numerose o a diversi nuclei conviventi in situazioni di sovraffollamento, a difficoltà abitative, a stato di povertà economica e di precarietà/assenza del lavoro, a scarsa o errata alimentazione, alla rottura di nuclei familiari con assenza di una delle figure adulte di riferimento, alla presenza di patologie e/o a frequente ospedalizzazione di un membro della famiglia, ecc. Infine in Italia “I minori poveri erano 1.809.000 nel 2007 e ora sono circa 2 milioni, il 20% di tutti i minori. Sono concentrati nelle città e nel Mezzogiorno. Sono loro che vanno male a scuola: rispetto ai figli delle persone con reddito medio e laurea hanno quasi circa 8 volte meno possibilità (- 780%) di laurearsi.

(La nostra) è la scuola più “di classe” d’Europa.” (Marco Rossi Doria, Seminario “Investire nel capitale umano.” - Alba -
ottobre 2010)

Problematiche emozionali
Ma parlare esclusivamente di disagio causato da svantaggio socio-culturale sarebbe limitativo.

Ci sono bambini e bambine che esprimono un disagio più di tipo emozionale, che sembrerebbe provocato soprattutto da squilibri, carenze, frustrazioni affettive sofferte nell’ambiente familiare.

Il riferimento è a disarmonie familiari che disturbano il processo di identificazione coi genitori, oppure a incoerenza educativa fra un genitore e l’altro, a un clima familiare caratterizzato dall’aggressività, a iperprotezione del bambino a cui viene evitato il contatto con la realtà e negate anche le normali frustrazioni incrementando i sentimenti di dipendenza e rendendo difficile ogni tentativo di socializzazione, ma anche a genitori troppo esigenti e perfezionisti che chiedono ai figli prestazioni sproporzionate al patrimonio intellettivo e all’età del figlio/a, inducendo sentimenti di colpa ed inferiorità negativi in ambito scolastico.

In queste situazioni si esprimono difficoltà a convivere con compagni ed adulti, ad accettare un minimo di regole di convivenza; emergono forme di isolamento e/o aggressività, cambiamenti improvvisi di umore, ecc.

Difficoltà ad apprendere
Oltre alle forme sin qui accennate c’è anche un disagio che potremmo definire più cognitivo, tipico di quei bambini che incontrano soprattutto difficoltà nell’apprendimento.

È necessario distinguere poiché ci sono bambini con difficoltà di apprendimento in particolari settori (DSA), per questi bambini esistono non pochi problemi di individuazione e diagnosi prima ancora che di intervento (con loro dovrà essere messo in campo, in un indispensabile lavoro interdisciplinare, anche un forte impegno di professionalità specialistiche di tipo neuropsichiatrico e psicologico); ma anche bambini che incontrano “troppe” difficoltà ad apprendere che sembrano più direttamente connesse con l’organizzazione dei saperi proposta dalla scuola, con il linguaggio e gli strumenti utilizzati in essa.

Certo, i confini fra queste “difficoltà” è spesso incerto, labile, aleatorio, discutibile e discusso, ma ritengo pericolosa una sanitarizzazione del problema e credo che si possano aiutare gli alunni in difficoltà senza concepirli come “malati”.

Essere bambini “stranieri”
Si è quasi costretti a trattare separatamente il possibile disagio dei bambini stranieri figli di migranti provenienti da paesi poveri “extracomunitari”, che si trovano a fare i conti con problemi che possono originare dalla somma di diversità con i loro coetanei anche e soprattutto legate ad aspetti culturali, etnici, linguistici, religiosi.

Questi alunni che tipo di situazioni di disagio vivono? La loro presenza e la multiculturalità creatasi di fatto nelle scuole rappresenta anche una risorsa, un’opportunità, o è solo un problema?

Soprattutto nella scuola di base, diverse culture entrano in contatto e si confrontano su aspetti intimi quali i problemi relativi all’accudimento e all’educazione dei bambini; aspetti importanti per l’identità di ciascuno e di ciascun gruppo, delicati sul piano emotivo e perché chiamano in causa il tema delle diverse interpretazioni del ruolo genitoriale e quello delle rappresentazioni dell’infanzia.

Ci si trova di fronte a richieste e difficoltà inedite fino a pochi anni fa; si incontrano delle famiglie che stanno attraversando grandi cambiamenti ed all’interno di questi spesso l’inviare regolarmente a scuola i figli rappresenta anche una apertura nei confronti della società ospite.

Non si può qui entrare nel merito di differenze fondamentali come quella tra i bambini della prima o della seconda generazione, per esempio, o dovute alle diverse religioni di riferimento. Rispetto ai bambini arrivati nel nostro Paese da poco, per esempio, si può osservare una differenza significativa a seconda che abbiano già alle spalle un’esperienza di scolarizzazione nel loro Paese d’origine o in un'altra nazione, o no. Nel primo caso incontrano minori problemi nell’integrazione scolastica, nel secondo invece l’indispensabile alfabetizzazione e l’insegnamento della lingua italiana come seconda lingua deve ancor più fare i conti con la necessità di un’accoglienza globale, di un’attenta cura degli aspetti affettivi.

La prima necessità, comune peraltro a tutti i bambini e le bambine, di trovare nella scuola un posto “caldo”, affettivamente valido, in cui trovare concreti appigli di realizzazione e valorizzazione umana e culturale, non è ostacolato tanto e solo da difficoltà linguistiche.

Al nostro livello di ragionamento l’apprendimento della lingua italiana può assumere una particolare problematicità, per esempio, quando il bambino si trova ad essere eccessivamente responsabilizzato con improprie richieste di diventare un facilitatore di relazioni su problemi la cui mediazione molto più che linguistica è culturale in senso lato. Sempre a livello di insegnamento della lingua italiana, un tema emergente, che nuovamente riguarda tutti pur essendo nel caso specifico più accentuato, è quello della motivazione alla comunicazione, cioè del sapere cosa, perché e a chi comunicare.

Anche per i genitori di questi bambini i problemi non si limitano all’ambito linguistico, essi possono vivere il disagio di non sentirsi competenti in alcune importanti funzioni del loro ruolo.

Spesso si pongono con maggior forza problemi che attengono alla costruzione dell’identità, che è strettamente intrecciata con il senso di appartenenza: bambini stranieri che vogliono a tutti i costi essere italiani, genitori che si sentono integrati come stranieri in Italia e faticano ad accettare che i figli non si sentano per nulla stranieri.

Ci sono genitori che incontrano difficoltà a fornire adeguato sostegno ai figli rispetto a situazioni nuove in un universo sociale differente da quello ben conosciuto del paese di provenienza; ci sono poi quei genitori che non hanno alle spalle un’esperienza scolastica, anche per questo si trovano a corto di opzioni da confrontare e proporre alla scelta dei figli, sentendo così la propria storia personale troppo lontana e scarsamente utile nell’attualità, dove non sempre riescono a trovare sostegno alla loro genitorialità.

La situazione delle madri spesso è particolarmente difficile: le mamme non lavoratrici vivono condizioni di isolamento non dissimili da quelle italiane, ma aggravate dalla debolezza o assenza di reti sociali parentali e comunitarie inclusive e protettive; le madri lavoratrici non possono, per esempio, fare ricorso alle nonne, una delle soluzioni più praticate anche dalle colleghe italiane, che quasi sempre sono nel Paese d’origine.

Un altro tema fondamentale nella riflessione sulla qualità educativa del sistema scuola, ri-messo in risalto dalla presenza di alunni stranieri, è quello della condivisione educativa fra famiglie e istituzione; qui si può far riferimento alle diversità di quadri normativo-valoriali, che sono importantissimi per tutto il quadro del funzionamento mentale e delle performances di ciascun individuo. Tutto ciò assume una grande importanza, perché nella comunicazione interculturale è fondamentale non dimenticare che ci sono regole e modalità diverse, non solo diversi strumenti: ci si confronta con “parole”, si dà un nome alle cose del mondo e si “mette in parola” il proprio vissuto, in modo differente.

Non dimentichiamo che molti dei nostri alunni “stranieri”- nuovi cittadini vivono in quartieri già multiproblematici e spesso in condizioni più precarie dei propri compagni e delle loro famiglie.

Infine, i minori stranieri sanno o sapranno presto che il loro destino, stante l’attuale situazione legislativa, non prevede che diventino facilmente dei veri “nuovi cittadini italiani”.

La presenza di alunni stranieri provenienti da diversi paesi del mondo nella scuola è soprattutto un’opportunità se è percepita come tale dagli adulti che li accolgono nella scuola, dagli insegnanti in classe innanzitutto; se guardano con curiosità anche questi bambini, se colgono che ci sono aspetti “alti” delle differenti culture, opportunità d’apprendimento e possibilità di imparare a convivere in modi socialmente interessanti, che più facilmente si è stimolati a cogliere grazie alla presenza di alunni stranieri.

L’ambito familiare
I bambini di oggi sono diversi rispetto alle generazioni precedenti soprattutto in considerazione delle nuove famiglie in cui vivono, dei diversi bisogni che esse esprimono e delle mutate relazioni tra genitori e figli.

In una società che conta meno bambini, e la questione del numero dei figli assume una forte rilevanza, si esprimono nuovi modelli genitoriali anche a causa dei quali i bambini possono vivere situazioni di disagio con cui la scuola comunque e in qualche modo fa i conti.

Non si tratta di fattori di rischio che si cumulano ed interagiscono fra loro, ma possono essere anche fattori di opportunità a seconda di come si declinano nella concreta esperienza familiare ed in relazione con il territorio.

Le famiglie sono cambiate per composizione e dimensioni. Alle famiglie mononucleari si affianca una crescente e diversificata minoranza di famiglie post-nucleari: un solo genitore, più spesso la madre; uno dei partners non genitore, che può avere altri figli; diversi nuclei familiari provvisoriamente conviventi, in cui la misura della provvisorietà è pressoché impossibile; “moltiplicazione” dei nonni; nonni conviventi per periodo prefissati; parenti che suppliscono alle carenze di genitori inadeguati, ecc.

Soprattutto per le mutate condizioni di vita delle donne, non riconducibili solo alle realtà lavorative, che generano ad un’età più avanzata delle loro madri il primo figlio, il quale spesso rimane unico; al contrario sono diminuite le situazioni familiari in cui a prendersi cura dei figli troviamo altri parenti conviventi.

Ovviamente il fenomeno dell’innalzamento dell’età, così come quello della scelta del figlio unico riguarda anche i padri; inoltre anche nelle famiglie “tradizionali” talvolta fratelli o sorelle nati in diverse epoche di vita dei genitori assumono connotazioni da figli unici.

Attraversa e spiega, almeno in parte, tutto ciò la diffusione dalla scelta della genitorialità sempre più come scelta fondamentalmente culturale, basata più che su un fatto “naturale” su processi di autorealizzazione degli adulti. L’opzione della genitorialità è diventata così una delle possibilità, sia pure importante, per gli uomini e le donne.

Ci troviamo di fronte a genitori abituati a rivendicare la propria realizzazione attraverso l’impegno e la produzione; che quando si sentono “finalmente arrivati” generano figli ai quali non lasciano posto e per i quali faticano a prevedere un futuro migliore.
Nei confronti del proprio bambino prevale, allora, soprattutto un sentimento di proprietà autorealizzativa, in cui lo stare molto e il fare molte cose con lui serve innanzitutto a rinforzare la propria autostima personale sentendosi un bravo genitore. Spesso questo stesso genitore ricerca soluzioni alimentando il mercato di specialisti, consulenti, psicologi, riviste, enciclopedie.

Inoltre viene tolto spazio ai coetanei e alle situazioni meno controllate e formalizzate, come il cortile e la “paurosa” strada.

In questo clima è facile anche che si deprimano le “sane” spinte alla ribellione, indispensabili per crescere staccandosi dalla famiglia.

A complicare le cose molti di questi genitori si trovano schiacciati in una relazione che li vede ancora figli di nonni giovanili, se non giovani, e/o bisognosi di attenzioni e cure.

Questi, sempre più amici e fratelli maggiori, per non essere autoritari e impositivi non offrono motivazioni forti ed il gusto dell’impegno ai loro figli, contribuendo a farli diventare incerti e demotivati.

Capita così di avere alunni meno divergenti, meno coraggiosi nelle proprie azioni ma più portati a gratificare l’adulto o all’acquisizione passiva di modelli preconfezionati.

Gli elementi di disagio che traggono origine anche dai fattori fin qui descritti non si fermano davanti all’entrata della scuola, né potrebbe essere altrimenti; neppure svaniscono ad un certo punto del percorso scolastico, anche se nella prima scuola è più facile evidenziarli sia per l’età dei bambini sia per l’organizzazione e una tradizionale maggiore attenzione ai requisiti dello apprendimento legati alla vita familiare degli alunni.

In particolare taluni alunni con i loro comportamenti e atteggiamenti sembrano richiedere alla scuola, agli insegnanti, di confezionare quel contenitore ricco e contenitivo nel contempo in cui non hanno potuto vivere; talvolta gli stessi genitori manifestano il bisogno di essere aiutati e sostenuti in questo senso nell’educazione del figlio.

Ci si trova talvolta di fronte ad alunni che non sono abituati ad entrare in relazione con gli altri e con i coetanei in particolare, comportandosi quindi in modo inadeguato, isolandosi o aggredendo.

Avevo scritto queste cose sul disagio dei bambini 10 anni fa2. Ma oggi cosa è cambiato?
:: Fino ad un po’ di anni fa i casi di disagio erano, o ci sembravano, forse più drammatici, ma c’era, o così ci sembrava, una maggiore consapevolezza: chi lo viveva e chi si disponeva a prestare aiuto pensava di poter contare su una maggiore solidarietà, sulla possibilità di sperimentare percorsi alternativi se non risolutivi, si sentiva meno solo-solitario.

:: Oggi sembra di trovarsi di fronte ad una situazione di disagio più diffuso e meno consapevole, in cui i soggetti che vivono un disagio come fossero più assuefatti sembrano percepire meno la necessità di essere aiutati e la possibilità di cambiamento (sia le famiglie, sia i minori).

:: A parole c’è una maggiore attenzione alle vittime di diversi gravi episodi e veri reati (rapine, molestie anche via internet, bullismo, …), ma si è persa la capacità di indignarsi. Inoltre gli autori di questi episodi li compiono quasi senza averne conoscenza. Mi pare che viviamo in una fase storica nella quale sembra prevalere una sorta di anestesia delle coscienze.

:: Ci troviamo sempre più spesso di fronte ad alunni che vivono un disagio fatto anche di panico di fronte alla richiesta di fare da solo, di paure frequenti, di socializzazione discontinua, di problematiche legate all’alimentazione e al sonno, di frequente “agitazione” che paiono legati ad un senso di precarietà diffuso.

:: Oppure ad alunni che vivono nella confusione di ruoli educativi (soprattutto quello paterno?) Sembra quasi il riflesso di una sorta di tramonto dell’ottimismo, di una forse superficiale interpretazione della “complessità”, da cui scaturisce la paura del rischio del futuro, per cui spesso i bambini vivono tra adulti deboli, incerti, pessimisti. In una dimensione fluttuante, dove vi è confusione e scarsa chiarezza su ruolo, funzione e compiti dei genitori, è facile che si assista ad un affievolimento della loro autorevolezza. Ci sono bambini che, nella confusione dei ruoli cui si è accennato, sono precocemente responsabilizzati e adultizzati fino a, in situazioni più gravi, assumere funzioni genitoriali nei confronti dei genitori.

:: Sembra in aumento il ricorso alla regolazione violenta dei conflitti e delle difficoltà relazionali in ogni campo, tanto da essere considerato normale ed essere piuttosto approvato; scarseggiano sia l’investimento nel valore di riferimenti normativi condivisi, sempre più spesso presentati/vissuti come ostacoli alla libertà individuale, sia la considerazione degli altri come persone titolari di diritti pari ai nostri.

:: Tra i ragazzi paiono sempre più diffuse scarsità di interessi e noia della quotidianità, che sovente essi tendono a riempire con immagini e giochi elettronici, che inducono facilmente alla deresponsabilizzazione anche attraverso un indebolimento della consapevolezza delle conseguenze di atti di violenza su persone-vittime reali.

:: Inoltre, in molte periferie urbane mi pare si stiano riacutizzando condizioni di vita caratterizzate da fenomeni di disgregazione sociale, degrado socio-culturale, scarsità di opportunità positive, povertà.

(Continua nel prossimo numero con l'analisi del disagio degli adulti e le conclusioni).

Filippo Furioso