La scuola in questi ultimi anni si è trovata investita, per diverse ragioni riconducibili principalmente ai cambiamenti dei ruoli sociali, di un ruolo educativo parallelo a quello formativo che le è proprio.
In questo modo si è venuto a rompere un equilibrio tra società e scuola, tra famiglia, tradizionalmente custode di tradizioni, di valori educativi e di convivenza civile, e realtà scolastica, legata ad un ruolo formativo di trasmissione dei saperi e delle conoscenze, improntata ad un rapporto individuale, personale tra l'alunno e l'insegnante.
Oggi la complessità dei modelli familiari, la trasformazione di tradizioni consolidate e la sinergia dei media (importanti agenzie educative e formative) e dei modelli forti che questi rendono reali e vincenti, hanno portato la scuola a dover far fronte a contesti per la quale non è preparata (si pensi ai "latchkey children" ad esempio).
Molti insegnanti con anni di esperienza si trovano davanti alunni sempre più "difficili", "impenetrabili", sia dal punto di vista degli apprendimenti, sia dal punto di vista degli atteggiamenti disciplinari e della convivenza civile trovandosi in aperta difficoltà. A poco valgono le strategie "sanzionatorie" e a poco la ricerca di collaborazione con la famiglia. Ecco così emergere gli psicologi, i logopedisti, gli specialisti nei DSA, la figura del counsellor scolastico e via discorrendo.
I problemi, inutile ribadirlo sono legati però ad un ruolo docente che oggi spesso si trova impreparato a gestire una complessità di cui i giovani ed i giovanissimi sono permeati, direi zuppi. I media televisivi innanzitutto, ma poi internet, Playstation e cellulari, per non parlare di tutti i gingilli ipertecnologici che oramai sono la quotidianità dentro e fuori dalle scuole, ma soprattutto nella vita degli studenti, a prescindere dal l'ordine di scuola in cui ci si trovi. I docenti sono poco in grado di trasformare questa tecnologia in occasioni formative e ancora meno (e questo è la mancanza più grande) di fornire gli strumenti per metabolizzare tutta questa tecnologia, per saperla interpretare ed usare, nella convinzione che la scuola di queste cose non ne debba sapere e ne possa fare a meno. Come se gli alunni fossero due entità: una "in" e l'altra "out" rispetto alla scuola in una sorta di schizofrenia quotidiana che colpirebbe tutti.
Gli alunni si troverebbero anche nell'incapacità di comunicare con il prossimo, pari o docente che sia, in modo equilibrato, in una dialettica di scambio e confronto reciproco. Ecco allora che invece di ricercare nuovi strumenti all'interno della classe, luogo privilegiato perchè fortemente coinvolgente oltrechè socialmente stimolante, per risolvere conflitti ed educare a una società democratica, civile e solidale, si isolano coloro i quali manifestano atteggiamenti "esuberanti" nascondendosi dietro alla famiglia o alla necessità di un intervento specialista.
Ebbene il ruolo docente e la scuola, devono uscire da questo vicolo cieco e prendere consapevolezza che questo modo di lavorare non può garantire alla scuola il ruolo che le compete nel tessuto sociale.
Ecco allora le competenze che la professione docente dovrebbe fare proprie in questa ottica:
* capacità di risolvere i conflitti;
* capacità di identificare situazioni di affettività/ relazionali difficili e problematiche;
* saper cercare e sperimentare soluzioni a questi problemi;
* sapere che il ruolo esterno degli specialisti deve essere limitato a patologie e soprattutto a cause endogene e non esogene;
* sapere fare ricerca in classe e lavorare in modo fortemente collaborativo.
Sono ben consapevole che i docenti che vivono la scuola nella direzione tracciata sono molti e che i discorsi sopra richiamati tendono a generalizzare alcune questioni molto delicate, ciò non toglie che il malessere della scuola è evidente e che quanto detto è una analisi, anche se grossolana, ma che ben chiarisce responsabilità, ruoli e interventi necessari secondo il nostro modo di vedere la società, la scuola e suoi attori ed interpreti.
Fabrizio Ferrari
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