In questi ultimi due anni le pagine dei giornali e i notiziari radiofonici e televisivi hanno dedicato molto spazio alla scuola, seppure spesso senza la dovuta competenza e talvolta semplificando e snaturando le notizie. Si è dibattuto dei problemi del nostro sistema scolastico, delle sue criticità, dei presunti sprechi, dei cattivi risultati rispetto a quelli degli altri Paesi industrializzati. Sono state annunciate Riforme e cambiamenti epocali che spesso provocavano critiche feroci: “Questo governo sta distruggendo la scuola pubblica!” tuonavano i detrattori; “Stiamo lavorando per migliorare e rendere efficiente il sistema scolastico” rispondevano i promotori del cambiamento. “Dal prossimo anno sparirà il Tempo Pieno” dicevano i primi; “Non è vero! Il Tempo Pieno aumenterà” rispondevano i secondi. ”Promuoveremo qualità e merito!” interveniva il Ministro; “Stanno affossando ciò che di buono è rimasto nella scuola!” rispondevano sindacati e associazioni professionali. Chi ha ragione? Cosa sta davvero succedendo alla scuola italiana? Quali cambiamenti sono stati introdotti?
Per raccontare i cambiamenti messi in atto il Ministero ha distribuito opuscoli a tutte le famiglie, rinnovato il sito internet prevedendo uno spazio dedicato, ha preparato decine di annunci promozionali da diffondere sui Media. Il mondo della scuola e le opposizioni hanno promosso dibattiti e aperto forum di discussione. Questo eccesso di informazione, le successive smentite, i chiarimenti e le continue precisazioni, hanno finito per generare confusione e disinformazione anche fra gli addetti ai lavori.
Il mio intento è quello di provare a chiarire quali siano realmente le nuove proposte e quale scenario si prefiguri, almeno per quanto riguarda la scuola primaria, a seguito delle vistose riduzioni di organico previste dal piano programmatico (87.400 docenti in meno, pari al 10,6% del totale e 44.500 unità di personale ATA in meno in tre anni), evidenziando quelli che sono i vincoli indicati dalle norme e gli spazi di flessibilità ancora disponibili. Cercherò di raccontare con onestà cosa sta accadendo: come le scuole stiano affrontando la difficile contingenza, quali situazioni dovranno gestire i dirigenti, i docenti, il personale ATA, quali conseguenze concrete si prospettano e quali possono essere le soluzioni organizzative praticabili.
Come è noto il Piano Programmatico elaborato in attuazione dell’art. 64 del Decreto Legge 112/2008, convertito dalla L.133/2008, ha previsto interventi di riduzione della spesa pubblica per il personale con l’elevamento del rapporto alunni-classi di 0,4 punti, la riorganizzazione della rete scolastica, la revisione degli ordinamenti e dell’organizzazione didattica della scuola con tagli per oltre 6 miliardi di Euro nel triennio 2009-2012.
In particolare per la Scuola Primaria la riduzione dei costi si realizza con l’introduzione del modello del maestro unico, con il superamento delle compresenze, con un calcolo dell’organico strettamente connesso al tempo scuola.
Il maestro “unico”
Le nuove disposizioni hanno imposto una revisione degli assetti organizzativi della scuola elementare in evidente rottura con il modello pedagogico precedente, che dal 1990 prevedeva una pluralità di docenti e l’assegnazione a ciascuno della responsabilità di uno specifico ambito disciplinare. Per vent’anni i docenti della scuola Primaria hanno imparato che per sostenere l’apprendimento degli alunni in una società complessa, dove il sapere è in continua evoluzione, un docente unico non era più sufficiente e che per costruire ambienti di apprendimento stimolanti e promuovere l’acquisizione di competenze significative era necessario un alto livello di specializzazione. Era opinione condivisa che una diversità di approcci e di punti di vista fossero fondamentali per lo sviluppo del senso critico fra gli alunni. Il richiamo alla corresponsabilità, alla condivisione del progetto educativo e la previsione di uno spazio settimanale dedicato alla programmazione didattica fra i docenti contitolari della classe in orario d’obbligo, avrebbe dovuto evitare il pericolo di frammentazione della proposta e sostenere l’unitarietà del progetto di insegnamento. Il modello del “team” di insegnanti che operava su due o tre classi a Modulo, o sulla stessa classe a Tempo Pieno, aveva trovato con gli anni nelle scuole piena adesione e consenso. È inoltre innegabile che la presenza di più docenti di riferimento sulla stessa classe, in tempi di grande instabilità degli organici, con un elevato numero di docenti precari per la crisi del modello della formazione iniziale e dei concorsi a cattedra, abbia consentito ai dirigenti scolastici di garantire un certo grado di continuità didattica sulle classi, a fronte di assegnazioni annuali spesso incerte. Difficile, quindi, per chi lavora nella scuola accettare serenamente il cambiamento di rotta, anche perché i risultati degli alunni della Primaria nelle prove internazionali continuano ad essere confortanti
Il ritorno al “maestro unico” sembrava aver trovato invece buona accoglienza, o addirittura consenso, nell’opinione pubblica, sensibile al problema del contenimento della spesa e al mito del “buon maestro” della propria infanzia. In realtà, quando si è trattato di scegliere fra i diversi modelli orari, pochissimi genitori hanno preferito il modello delle 24 ore settimanali con un unico docente. Salvo che nelle aree rurali, infatti, sembra invece essere aumentata la richiesta di tempo scuola, e, considerato che l’orario settimanale di docenza di un maestro elementare è di 22 ore settimanali, ciò non può che comportare il ricorso ad una pluralità di docenti nella stessa classe.
È pur vero che, in presenza dello specialista di inglese, dell’insegnante di sostegno e del docente di religione esterno, il numero di docenti impegnati sulla stessa classe era divenuto eccessivo. La proposta del docente “tutor" prevista dalla cosiddetta Riforma “Moratti”, infatti, era stata in parte motivata proprio dalla necessità di un maggiore coordinamento.
Il tempo scuola e le compresenze
Le nuove disposizioni (L. 30 ottobre 2008, n. 169 e D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89 revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione) prevedono, a partire dalle classi prime dell’a.s. 2009/2010 e a regime nell’intero quinquennio, che il tempo scuola della Primaria sia svolto secondo il “modello dell’insegnante unico che supera il precedente assetto del modulo e delle compresenze e secondo le differenti articolazioni dell’orario scolastico settimanale a 24, 27, 30 ore”. Si prevede, inoltre, nei limiti dell’organico assegnato e per le situazioni di fatto già funzionanti, anche il modello delle 40 ore. L’organico di istituto corrisponde al fabbisogno di personale necessario a soddisfare l’orario delle attività didattiche. Tutte le articolazioni orarie, compreso il modello a 40 ore, che corrisponderebbe alla precedente organizzazione a Tempo Pieno, non prevedono più la compresenza fra docenti contitolari. Le eccedenze rispetto all’orario frontale di insegnamento saranno utilizzate per le eventuali maggiori esigenze di tempo scuola, per la copertura dell’orario della mensa, per specifiche progettualità, per sostituire i colleghi assenti.
La prevista ed esplicita supremazia del modello di tempo scuola a 24 ore e il taglio delle compresenze, anche nel Tempo Pieno, ha scatenato le reazioni negative del mondo della scuola: la garanzia di tempi più distesi permetteva, infatti, di rispondere meglio ai bisogni degli alunni e di tenere conto della pluralità di stili di apprendimento, variando e arricchendo la proposta didattica. Le compresenze, se ben utilizzate, costituivano una risorsa preziosissima per realizzare quegli obiettivi di inclusione, supporto ai più deboli, potenziamento delle eccellenze, recupero delle difficoltà di apprendimento, diversificazione delle proposte formative, che rappresentavano una delle tradizioni positive del nostro modello di scuola. Talvolta tale risorsa era sprecata, o mal distribuita fra le classi, con situazioni dove si contavano fino a 10 ore di compresenza settimanale accanto ad altre dove l’orario dei docenti contitolari non bastava neppure a coprire l’orario di funzionamento della classe. Ora che le risorse stanno diminuendo, la loro gestione equa (una quota di flessibilità, infatti, è ancora disponibile, in particolare in presenza di molte classi funzionanti a 40 ore, o ove siano stati attribuiti docenti specialisti di inglese) diventa ineludibile. Il prossimo anno nei moduli, indipendentemente dall’orario di funzionamento precedente alla Riforma Gelmini, il tempo scuola autorizzato, e quindi l’organico assegnato, sarà di 27 ore per ciascuna classe Prima e Seconda e di 30 ore per le classi successive. Tutte le classi già funzionanti a Tempo Pieno, invece, potranno contare sull’assegnazione di due docenti e funzioneranno con un orario di 40 ore. Le ore eccedenti le ore frontali di insegnamento, secondo le nuove disposizioni, andranno a coprire le esigenze di funzionamento dei moduli, compreso il tempo mensa.
Se si pensa che in ogni classe a TP lo spazio di compresenza era di 4 ore, con il nuovo calcolo dell’organico si determina un “risparmio” di un docente ogni 6 classi. Procedendo all’assorbimento delle compresenze a livello provinciale, il risparmio potrebbe essere utilizzato per aumentare il numero di classi funzionanti a 40 ore. Ecco, quindi, che il Ministro ha potuto affermare, in tutta onestà, di aver aumentato il tempo scuola, anche se di fatto la norma introdotta ne prevedeva la riduzione (i “risparmi” per ora sono stati gestiti all’interno delle scuole stesse determinando una situazione di grande disparità fra le scuole. Se nell’Istituto non funzionano classi a Modulo, infatti, o il loro numero è ridotto, la scuola dispone ancora di risorse per estendere il tempo scuola o per nuove progettualità, ben diversa è invece la situazione delle scuole funzionanti interamente a Modulo che hanno sopportato i tagli più cospicui e dispongono di limitatissimi spazi di flessibilità=. Ugualmente onesta era l’affermazione di coloro che lamentavano “la morte” del modello del Tempo Pieno. Tale organizzazione prevedeva, infatti, una perfetta condivisione dell’orario e dei carichi curricolari fra i due docenti contitolari e uno spazio di compresenza che garantiva una notevole flessibilità organizzativa. Con i nuovi calcoli dell’organico, le scuole dovranno ripensare il modello orario settimanale del Tempo Pieno (salvo i casi “fortunati” di scuole interamente funzionanti a Tempo Pieno) e gli spezzoni residui (4 ore totali per ciascuna classe: 2 ore per ogni insegnante) derivanti dalla cancellazione delle compresenze dovranno essere usati per garantire l’orario di funzionamento in altre classi. In assenza di interventi di riorganizzazione del modello, infatti, si avrebbero classi con due docenti contitolari e altre dove opererebbero 15 o 20 insegnanti diversi, ciascuno impegnato sulla classe per 2 ore soltanto.
Prospettive e scenari possibili
Per provare a comprendere il pensiero del Ministro, verificare i vincoli previsti dalla nuova organizzazione e ipotizzare spazi di lavoro e di flessibilità praticabili, occorre leggere le indicazioni contenute nell’Atto di Indirizzo dell’8 settembre 2009 e ricordare che il quadro di riferimento di sistema rimane l’autonomia delle Istituzioni Scolastiche.
Considerati i tagli di organico previsti e tenuto conto dell’assegnazione di docenti derivante dalle nuove regole, il Ministro descrive “l’insegnante unico/prevalente” come la “figura di riferimento nell’esercizio di una responsabilità condivisa” che assume un “ruolo di coordinamento” nella relazione educativa e nei rapporti con le famiglie ed è garante di una visione unitaria dei percorsi formativi. Si tratta di un ruolo molto più simile a quello del docente tutor morattiano, piuttosto che a quello del maestro tuttologo del vecchio “tempo normale”.
Rispetto al tempo scuola delle 24 ore, inoltre, il Ministro precisa che “l’indicazione del modello lascia autonomia alle scuole per strutturare orari e aspetti didattico-organizzativi (…) secondo la propria organizzazione e valutazione”. A prescindere dal modello adottato, “tenendo conto delle esigenze delle famiglie”, le scuole sono invitate ad “adottare le soluzioni organizzative più idonee al raggiungimento dei traguardi attesi”.
Poiché le scelte organizzative sono funzionali al progetto educativo adottato, la scuola proporrà, quindi, il modello orario più coerente rispetto alle scelte fondanti il POF, tenendo conto della struttura dell’istituto (articolazione su più plessi, presenza del servizio mensa), dell’organico assegnato, anche in prospettiva, e del tempo scuola richiesto dalle famiglie, assicurando, secondo le indicazioni ministeriali, una visione unitaria dei percorsi oltre al previsto coordinamento.
Nelle realtà scolastiche dove non funzionavano classi a Tempo Pieno, gli spazi di flessibilità rispetto al tempo scuola offerto saranno necessariamente molto ridotte e casualmente legate alla presenza di docenti specialisti di inglese e di docenti di religione esterni alla classe. In questo caso, in assenza di risorse aggiuntive o del supporto dell’Ente Locale, la scuola sarà in grado di assicurare non più di un rientro pomeridiano per ciascuna classe funzionante. Diversa è la realtà delle istituzioni scolastiche che funzionavano totalmente, o in parte, a Tempo Pieno. Esse potranno disporre di una risorsa di flessibilità che non potrà essere più utilizzata tout court come compresenza sulla classe. Verificate le esigenze di funzionamento e le eventuali necessità di estensione del tempo scuola, la compresenza dovrebbe essere gestita in modo unitario - per plesso o per interclasse - facendo riferimento a quella che le scuole chiamano “banca del tempo” e prevedendo, valutate le necessità, progetti di recupero, di potenziamento o di arricchimento dell’offerta formativa. Non è vero, infatti, che le scuole siano tenute necessariamente ad usare le ore eccedenti l’orario frontale di insegnamento per le sostituzioni dei colleghi assenti. Fatte salve le situazioni di emergenza, quando occorre far fronte ad assenze improvvise o limitate alla singola giornata, l’utilizzo di tali ore per progetti specifici è perfettamente legittimo e previsto anche dal Contratto Scuola. La sostituzione dei docenti assenti, con il ricorso ad ore aggiuntive dei docenti interni o con la nomina di supplente, è necessaria per garantire agli alunni il diritto allo studio e come tale è atto ineludibile, a dispetto delle esigenze di bilancio. Il dirigente è tenuto ad adoperarsi per il necessario controllo e per il contenimento delle assenze, ma non può, a mio parere, evitare di provvedere alla necessaria sostituzione dei docenti.
L’importanza di una gestione unitaria e di un chiaro indirizzo politico nella conduzione della scuola è sempre più evidente e ciò è tanto più vero in tempi di contrazione delle risorse e in un momento di incertezza e di sfiducia verso il sistema e di forte demotivazione del personale. La responsabilità del Capo di Istituto, ma a cascata di tutto il personale, ciascuno per le proprie competenze, è davvero enorme.
Per meglio interpretare il loro ruolo progettuale, le scuole potrebbero avvalersi dell’autonomia di ricerca e di sperimentazione, prevista dall’art 6 del DPR 275/99, semplificando i modelli di funzionamento delle classi e l’attuale rigida distinzione fra modulo e tempo pieno. Potrebbero essere sperimentati nuovi spazi di flessibilità, con proposte laboratoriali e attività opzionali, aperte agli alunni di classi diverse, come prevede il regolamento per l’Autonomia. La pluralità di docenti sulla stessa classe, in quanto proficua e motivata, sarebbe garantita, assicurando nel contempo la presenza di un insegnante di riferimento per garantire continuità e la stabilità al gruppo di alunni. Almeno nelle prime due classi di frequenza, potrebbe essere utile una sorta di prevalenza oraria di uno dei docenti (come già prevedeva il precedente ordinamento con la L. 148/90) inserendo una maggior complessità organizzativa a partire dalla terza.
Occorre puntare sull’Autonomia delle scuole per assicurare maggior efficienza ed equità. Come segnala l’ultimo Rapporto sulla Scuola in Italia della Fondazione Agnelli, infatti, persistono enormi differenze di risultati fra gli alunni di una scuola e quelli di un’altra e ciò non è vero solo fra scuole di aree geografiche differenti. La differenza regionale incide per il 15% sul risultato finale, mentre le differenze fra scuole all’interno della stessa Regione spiegano il 37% della varianza fra i risultati, quando le caratteristiche individuali e lo status familiare determinano “solo” il 48% delle varianze. Io penso che occorra trovare soluzioni praticabili puntando sulla flessibilità del progetto di scuola, sulla responsabilità individuale e su un efficace sistema di valutazione. È certo sconfortante vedere tagliare le risorse alla scuola quando invece il Paese dovrebbe investire per realizzare gli obiettivi di benessere e di crescita individuale che rappresentano diritti irrinunciabili dei suoi cittadini. Ma inseguire i colpevoli dei marosi non aiuta a ritrovare la rotta verso il porto. La nave va difesa e guidata verso la bonaccia, contrastando l’assenza di equità e la casualità nell’assegnazione delle risorse, studiando le realtà che producono risultati migliori e sostenendo le situazioni più critiche a partire da quelle buone pratiche.
dott.ssa Lorenza Patriarca
(dirigente Istituto Comprensivo N. Tommaseo, Torino)
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